A soli 12 anni dall'inaugurazione, in un report sulla struttura il progettista parlava di "fenomeni di aggressione di origine chimica" e di "perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo"
Gli effetti della della salsedine e dell’inquinamento si erano manifestati sul viadotto sul Polcevera fin dagli anni successivi alla costruzione. Era stato lo stesso Riccardo Morandi – progettista del ponte autostradale crollato il 14 agosto a Genova – a lanciare, a 12 anni dall’inaugurazione della sua creatura, un concreto “allarme corrosione“.
“Penso che prima o poi, e forse già tra pochi anni, sarà necessario ricorrere a un trattamento per la rimozione di ogni traccia di ruggine sui rinforzi esposti, con iniezioni di resine epossidiche dove necessario, per poi coprire tutto con elastomeri ad altissima resistenza chimica“, scriveva l’ingegnere in uno studio datato 1979 dal titolo “Il comportamento a lungo termine dei viadotti sottoposti a traffico pesante situati in ambiente aggressivo: il viadotto sul Polcevera, a Genova“, come riporta oggi La Verità.
“La struttura – scrive Morandi – viene aggredita dai venti marini (il mare dista un chilometro) che sono canalizzati nella valle attraversata dal viadotto. Si crea così un’atmosfera, ad alta salinità che per di più, sulla sua strada prima di raggiungere la struttura, si mescola con i fumi dei camini dell’acciaieria (il vecchio stabilimento Ilva, ndr) e si satura di vapori altamente nocivi“. “Le superfici esterne delle strutture – segnala – ma soprattutto quelle esposte verso il mare e quindi più direttamente attaccate dai fumi acidi dei camini, iniziano a mostrare fenomeni di aggressione di origine chimica“. Insomma, è già in atto una “perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo”.
Morandi, scrive il quotidiano, accenna anche a non meglio definite “piastre” che “sono state letteralmente corrose in poco più di cinque anni”, quindi nel 1972, e “hanno dovuto essere sostituite, con processi piuttosto complicati, con elementi in acciaio inox”. L’ingegnere conclude insistendo sulla necessità di proteggere “la superficie in calcestruzzo, per accrescerne la resistenza chimica e meccanica all’abrasione“.