Se la morte del neonato agli Spedali civici di Brescia, causata da un batterio killer resistente agli antibiotici, poteva essere una tragedia evitabile sarà la magistratura a stabilirlo. Intanto quello che è certo è che il nostro Paese è tra quelli in Europa con i livelli più alti di antibiotico-resistenza e il terzo per consumo di antibiotici. Ne usiamo troppi e male. “Gli antibiotici sono armi potenti, vanno usati con moltissima cautela – avverte Pierluigi Viale, a capo del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna -. Se li prendiamo quando non servono oppure se sbagliamo o interrompiamo la terapia aumentano le resistenze dei batteri al farmaco. Quando usiamo gli antibiotici – spiega il medico – interagiamo con tutti i batteri presenti nel nostro organismo, non solo con quelli patogeni. Se noi alteriamo questo ecosistema, selezioniamo quelli resistenti“.

I super batteri multiresistenti ai farmaci oggi rappresentano una minaccia per la salute di tutto il mondo finita sul tavolo all’Onu. L’Organizzazione mondiale della sanità stima 500mila casi di infezioni antibioticoresistenti, un numero che potrebbe essere molto più grande visto che ad oggi sono disponibili i dati solo di 22 Paesi. Le vittime, secondo lo European centre for disease control (Ecdc), sono 700mila l’anno, di cui 99mila negli Stati Uniti e 25mila in Europa. In Italia le infezioni da germi multiresistenti uccidono più degli incidenti stradali: 7mila morti contro i 3.378 (dato 2017), oltre il doppio.

Lo scorso novembre, con imbarazzante ritardo rispetto al resto dei Paesi dell’Ue, anche noi ci siamo dotati di un Piano nazionale per contrastare questa emergenza. L’obiettivo è ridurre entro il 2020 del 10% l’uso territoriale degli antibiotici, del 5% quello negli ospedali e del 30 quello in ambito veterinario. Ma le misure di sorveglianza, prevenzione e correzione si devono realizzare a “isorisorse”, ci ricorda il ministero della Salute, cioè a costo zero per lo Stato.

All’Istituto superiore di sanità non nasconde la preoccupazione. Annalisa Pantosti, responsabile del reparto di Antibiotico-resistenza dell’ente, la giudica “una missione quasi impossibile se non si investono più soldi”. Il Piano prevede di sviluppare delle attività di sorveglianza e monitoraggio attraverso stewarship, ossia equipe di infettivologi all’interno degli ospedali dedicati esclusivamente a debellare i microorganismi farmacoresistenti. Prestando anche consulenza ai colleghi degli altri reparti.

Fino adesso infatti c’è stata una esagerata libertà prescrittiva. Un cardiologo, tanto per dire, non si sognerebbe mai di prescrivere un farmaco chemioterapico, tutti però hanno prescritto antibiotici. Il problema è che in molti reparti gli infettivologi sono carenti e al momento la rete di sorveglianza non è sufficiente. Giovanni Rezza, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, sottolinea anche lui la necessità di stanziare nuove risorse ad hoc per ottemperare a questi impegni: “Non esiste ancora un sistema di monitoraggio a livello nazionale sull’antibiotico resistenza. I dati raccolti sono su base volontaria e riguardano una cinquantina di laboratori appena. Anche i report sulle infezioni ospedaliere in generale, sono a macchia di leopardo e poco accurati“.

Eppure un decreto del consiglio dei Ministri varato otre un anno fa (fu pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 12 maggio) aveva identificato i registri e i sistemi di sorveglianza delle patologie di rilevanza nazionale (tra cui quelle infettive) con l’obiettivo di garantire una raccolta sistematica di dati per migliorare prevenzione, diagnosi e cura. È evidente che siamo in ritardo.

“Il governo italiano dovrebbe investire di più anche sulle campagne di sensibilizzazione all’uso prudente degli antibiotici in occasione della giornata europea dedicata, il 18 novembre. All’inizio il ministero della Salute e l’Aifa se ne erano occupati, poi col passare degli anni è piombato il silenzio“. E il conto da pagare è salito. Secondo la ricerca ‘Burden economico delle infezioni ospedaliere in Italia‘ del maggio 2017, realizzata dal Ceis dell’Università di Roma Tor Vergata, per ogni infezione ospedaliera spendiamo tra i 9mila e 10.500 euro. Complessivamente al Sistema sanitario nazionale le infezioni ospedaliere pesano fino a 500 milioni di euro in più l’anno.

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