Sabato 18 agosto 2018 seguivo alla tv i funerali delle 19 vittime del ponte maledetto sul torrente Polcevera di Genova, crollato la vigilia di Ferragosto alle ore 11,36. Non ho potuto partecipare perché a casa con la febbre da giorni. In questi giorni a Genova non abbiamo voglia di parole e anche il silenzio resta pesante. Stiamo male comunque stiamo, ovunque siamo, senza forze, sospesi nel vuoto come quei due tronconi che dovrebbero restare lì, monumento immortale e immorale alla cupidigia, alla incompetenza e alla inerzia di uno Stato, celere per gli affaristi, immobile per i beni comuni.
Siamo estranei nella nostra città, pensando alle migliaia di volte in cui abbiamo attraversato quel ponte, molto spesso con l’ansia in gola perché da almeno venti anni sappiamo che era “malato”. Quarantatré morti e ancora nove ricoverati, circa 600 persone sfollati, 13 palazzi da abbattere (forse meno), il traffico da ripristinare, una città da ricucire, frantumata fisicamente dal crollo di un ponte.
E venne il giorno dei funerali di Stato, temuto da molti per possibili contestazioni, dopo la scelta di molte famiglie di non parteciparvi come ripudio di una Stato che non cura nemmeno l’integrità fisica dei suoi figli, uno Stato che sulla morte violenta delle vittime di Stato specula ogni volta che accade una “disgrazia”, sia un terremoto, un’alluvione, siano i crolli di tanti ponti, non solo quello di Genova. Speculare sui morti significa progettare “grandi opere” definite urgenti da 20 anni (sic!), ma di cui l’unica urgenza è l’adeguamento sempre al rialzo dei costi a carico della collettività. Speculare sui morti è fare coincidere controllore e controllato. Speculare sui morti è il cicaleccio dei politicanti che sfruttano la tragedia per trarne vantaggio personale o politico.
Il giorno del funerale non vi è stata contestazione perché il temperamento ligure è riservato, composto, rispettoso del dolore, deciso nella solidarietà, avverso alle sceneggiate. Il presidente della Repubblica è stato esemplare e così lo ha sentito il popolo presente. I due vicepresidenti del Consiglio avrebbero potuto essere più sobri e meno presenzialisti con meno dichiarazioni ad uso stampa e più composti, rispettosi del loro ruolo. Avrei voluto vedere i politici non trafficare sui cellulari e senza selfie che tolgono serietà alla compostezza e svelano i retro pensieri, tanto i ponti crollano anche con i cellulari in mano, ovunque e dappertutto.
I corpi allineati davanti al Crocifisso immenso, storico simbolo della Liguria delle Confraternite, fungevano da nuovi pilastri di una nuova cultura e civiltà che sabato 18 agosto 2018 si è inaugurata a Genova per sostenere il ponte non solo tra le due Genova divise, ma anche tra Genova e il Mediterraneo, come è sempre stato nella sua storia, tra Genova e l’Italia e tra questa e il mondo. Non solo per la commozione mondiale, ma per quello che accaduto e avvenuto, spontaneamente e senza artificio, quella mattina davanti a quei morti e in nome di quei morti.
Il cardinale Angelo Bagnasco – asciutto nel suo ruolo, dolorante per il suo popolo che è carne sua – parla di “Genova squarciata” e si sforza di offrirsi come bastone di sostegno, invitando ad alzare la testa, a non rassegnarsi. Non ci si può sedere sulle macerie, magari sapendo che sotto possono esserci ancora dei corpi. Egli, violentando la sua stessa commozione, si presenta come forte per sorreggere chi è schiacciato dalle macerie del dolore e della morte. Misurato e attento alle parole, raccoglie le ansie, i sospiri, i singulti per farne un mazzo di fiori da deporre su quell’altare che, in quel momento, è un’ancora di speranza. Da quell’altare, infatti, la voce profonda baritonale di monsignor Alberto Tanasini – vescovo di Chiavari, ma per tantissimi anni vicario generale e vescovo ausiliare di Genova – elenca uno per uno i nomi, richiamando i volti di chi ancora è lì, defunto ma non morto, perché vivo nel cuore dei presenti. I nomi e i volti scorrono lenti e chiari in una litania di Santi e Sante, gettati come gòmene d’attracco verso l’altra sponda che non si vede, ma cui tutti tendono, anche per loro, soprattutto con loro.
Fa eco l’Imam Salah Hussein – segretario della Comunità dei Musulmani della Liguria e Imam di Genova, mio amico fraterno – che apre la preghiera universale con le parole che siamo soliti udire solo nel grido osceno e blasfemo di chi pretende di uccidere in nome di Dio: “Allaù Akbar – Iddio è grande”, ripetuto tre volte perché tutti devono sentire. All’improvviso scopriamo che non si tratta di una liturgia cattolica o musulmana, ma di una liturgia in cui le differenze cedono il posto all’unità: dei presenti, ma anche alla consapevolezza dell’unico Dio che non è musulmano, cattolico, ortodosso o protestante, ma è il Dio della paternità che genera fraternità.
Inattese, e proprio per questo, ascoltate come un dono improvviso e travolgente, arrivano le parole dell’Imam Mohamed Nour Dachan, presidente onorario dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia. Egli parla di Genova come se fosse la sua città. La chiama “Superba”, come nel Medio Evo e aggiunge che Genova in arabo significa “Bella”, facendo così risplendere la bellezza del passato anche nel dramma di oggi. Si è rivolto al Dio onnipotente e misericordioso perché “protegga l’Italia e gli italiani”, lanciando uno sguardo fino agli albori della Storia, quando col primo uomo e la prima donna, è iniziato il primo ponte dell’umanità. Parole semplici e profonde per dire che o la storia si regge sui ponti dell’umanità o crollerà come un fuscello, come il ponte Morandi sul Polcevera. Il tempo che questa verità arrivi a trafiggere il cuore delle migliaia di presenti ed ecco liberarsi un applauso interminabile, simbolo della strada da percorrere.
Un grande evento è successo a Genova sabato 18 agosto dell’anno 2018, una svolta storica che resterà negli annali, dove si annoterà anche che tutto ciò avveniva alla presenza della politica, specialmente di Matteo Salvini, uomo che preferisce i muri e i fili spinati ai ponti di civiltà. Musulmani e Cristiani a Genova hanno aperto la porta nuova della storia, attraverso la quale entra solenne e bella la superba civiltà del nuovo mondo che sta sul ponte degli uomini e delle donne, morti e vivi, garanti che il futuro sarà un avvento di ciò che ognuno di noi porta nel proprio cuore: un ponte d’amore. Indistruttibile.