A causa della catastrofe genovese, questo post esce con una settimana di ritardo. Per un baby-boomer come me, il disastro tocca le corde più intime, l’intero vissuto professionale da ingegnere civile, il bilancio e l’orizzonte di una vita. Non mi sento ancora di scrivere qui su quanto successo nella città dove sono nato. Non saprei come rispondere ai commenti. E mi scuso con chi mi ha chiesto di farlo. Prossimamente lo farò.
A partire da giugno, gli europei devono sopportare le ondate di calore, interrotte da nubifragi e grandinate: epica quella parigina di fine luglio. Se già nello scorso inverno le temperature artiche sono state le più alte mai registrate (a febbraio, per un paio di giorni, al polo nord ha fatto più caldo che a Zurigo) in questi primi mesi estivi gran parte dell’emisfero boreale è stata soffocata da un caldo insolito, che ha battuto parecchi record: dall’Algeria sahariana, con temperature superiori a 50°C, alla Spagna e al Portogallo, dove quota 50 è stata spesso sfiorata. Ciò spiega la diffusione degli incendi, dalla Siberia allo Yorkshire, dal circolo polare artico all’Ucraina, la Grecia e la California, dove le difese naturali sono ridotte allo stremo da una siccità pluriennale, forse cronica. Nel frattempo, disastrose inondazioni estive hanno colpito l’Asia (India, Turchia, Giappone, Pakistan, Cambogia, Laos, Mongolia, India, Cina, Afghanistan e Bangladesh) e l’Africa (Algeria, Costa d’Avorio, Ghana e Sud Sudan, nonché Nigeria e Kenya).
Non è l’estate italiana più calda del secolo, almeno per la temperatura dell’aria. La lunga estate calda del 2003 fu un’anomalia climatica planetaria in quanto a durata, circa quattro mesi. Interessò molte nazioni europee e, in Italia, le temperature restarono a lungo molto al di sopra delle medie stagionali, con valori prossimi a 40°C in molte città. L’apice si raggiunse nella prima parte di agosto, il mese più caldo della storia moderna. Notevoli furono gli impatti sulla popolazione, non solo economici: durante l’estate 2003 la mortalità aumentò in modo significativo, soprattutto in Francia. Localmente fu un fenomeno estremo.
Valutare se si tratti di anomalie climatiche o episodi estremi non è facile. Le prime sono mutamenti che avvengono a scala temporale ristretta e rientrano nella variabilità climatica. I secondi sono eventi statisticamente rari, che colpiscono da sempre l’umanità. E, se l’influenza antropica sulle anomalie è abbastanza nota, non è facile giudicare se e quanto le attività dell’uomo a grande scala influenzino gli estremi.
Studi recenti danno le prime risposte. Una ricerca pubblicata un paio d’anni fa su Geophysical Research Letters dimostrava l’influenza antropica sul fenomeno delle ondate di calore. Una vasta indagine, pubblicata sempre nel 2016 dalla National Academy statunitense, pone le basi affinché sia possibile distinguere, con ragionevole fiducia, l’impronta antropogenica degli eventi estremi. Giorni fa Science ha proposto al mondo scientifico alcune prove dell’influenza umana sul ciclo stagionale della temperatura troposferica, un segnale che emerge con chiarezza dal rumore di fondo della variabilità naturale. World Weather Attribution stima che la probabilità di ondate di calore simili a quella di questi giorni sia raddoppiata rispetto al passato.
Tra le anomalie (o gli estremi?) di quest’anno c’è però una gradita sorpresa per coloro che amano tuffarsi nelle onde del mare senza rabbrividire. A casa mia – Albisola in Liguria – oggi la temperatura del mare è 28°C, misurati da https://seatemperature.info che pubblica le temperature marine in superficie per tutto il globo, quasi in tempo reale. Parlandone da bagnante, posso solo trasmettervi la meravigliosa sensazione di una lunga nuotata nelle acque di un mare sempre più simile a una piscina termale. Negli scorsi anni abbiamo vissuto estati non troppo dissimili dall’attuale, ma il mio mare agostano si era sempre mantenuto tra 24°C (anni 2014 e 2016) e 25°C (2013, 2015, 2017).
In base ai dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, la temperatura media del Mediterraneo è aumentata di circa 1°C in un secolo circa. Gli inconvenienti non sono pochi. Per esempio, se il mare si scalda, l’acqua si espande e occupa più spazio nei bacini marini, innalzando giocoforza il livello del mare con possibili, incresciosi effetti sui territori costieri. Aumenta la stratificazione della colonna d’acqua, che influenza i flussi di nutrienti. Viene favorita la proliferazione delle alghe nocive, che accresce i rischi per la salute umana, gli ecosistemi e l’acquacoltura. Il metabolismo delle specie viene alterato, con effetti sulla migrazione stagionale e la riproduzione. E altro ancora.
In fondo, come scrisse Francis Scott Fitzgerald, la vita ricomincia con l’estate; e, se il bicchiere climatico è in gran parte vuoto, qualcosa che lo riempie comunque c’è: acque marine più calde hanno un gradevole impatto sui bagnanti freddolosi. La stagione balneare si allunga. Siamo lontani dalla Polinesia e da Papua, dove l’acqua marina raggiunge i 34°C e si fa il bagno tutto l’anno, ma non è impensabile che, per almeno sei mesi all’anno, anche il Mar Ligure in futuro sia balneabile. Nel Sud è già così, ma l’organizzazione dei flussi del turismo internazionale non si è ancora resa conto di questa opportunità. Né la colgono i flussi domestici, tuttora guidati dal calendario della chiusura estiva di grandi fabbriche che non ci sono quasi più. E, se la salinità del Mediterraneo aumenta per davvero, come affermano alcuni studi, la nuotata serotina sarà più comoda e piacevole.
“Altro ancora” è invece meno gradevole. Dalle mie parti, un mare caldo esalta la dinamica della circolazione atmosferica che si alimenta dell’energia accumulata nel Golfo di Genova, aumentando la severità degli episodi convettivi quando si installa una fase di blocco, la cosiddetta ‘Genoa low’. Un fenomeno che innesca pericolosi nubifragi non solo localmente, ma anche a lunga gittata. E, come dimostrano vari studi sull’influenza delle temperature marine, l’aumento delle temperature superficiali del Mar Mediterraneo amplifica le precipitazioni estive estreme nell’Europa centrale.
Basta così? No, perché la teleconnessione climatica può condurre a sorprendenti conseguenze, se quanto afferma Tim Lenton (Università di Exeter) sarà confermato: «Le nostre ricerche dimostrano che nel Nord Atlantico e nel Pacifico del Nord si sono verificate variazioni più ampie e persistenti della temperatura della superficie del mare e queste hanno contribuito ad anomalie termiche più estreme e persistenti su parti della superficie terrestre del mondo». E sono perfino comprese le siccità e le prolungate magre fluviali dalla California al levante mediterraneo europeo.