A leggere la storia della holding Atlantia, viene da chiedersi se per la famiglia trevigiana della moda il settore abbigliamento sia soltanto un ramo secondario d’impresa, un’attività in perdita tenuta su quasi per questione di cuore. Atlantia è il colosso che rende miliardi, un gigante delle infrastrutture con i piedi piantati in Europa, in Asia (India) e in Sud America, capace di controllare cinque aeroporti internazionali (Fiumicino e Ciampino in Italia, Nizza, Cannes-Mandelieu e Saint Tropez in Francia) e oltre 5mila chilometri di autostrade, dislocate in vari continenti, gestite secondo un unico schema: le concessioni governative, i pedaggi ai caselli, le incombenze sulla manutenzione degli assetti viari sotto controllo.
Un modello che genera numeri da capogiro, 6 miliardi di ricavi nel 2017, con consistenti profitti per la famiglia Benetton, detentrice del 30,25% della multinazionale attraverso la società Edizione la quale gestisce anche Autogrill (i servizi di ristorazione lo scorso anno hanno portato ad un fatturato di 4,6 miliardi). Il controllo di reti infrastrutturali su scala mondiale determina inevitabili concatenazioni finanziarie e reazioni politiche ad ampio raggio.
Dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, la caduta in Borsa della holding ha avuto riflessi negativi sulla compagnia Acs del magnate Florentino Pérez, presidente del Real Madrid, con la quale sono stati stretti recenti accordi per investimenti congiunti nella concessionaria spagnola Abertis. Su un altro fronte, il ministro delle Opere pubbliche cileno Juan Andrés Fontaine si è affrettato a precisare che Atlantia non è impresa costruttrice, ha ben sei concessioni nel Paese andino operando con il Grupo Costanera su una rete di 313 chilomentri – la concessione più longeva scadrà nel 2044 -, ma non ha costruito un solo metro di strada né un solo pilone autostradale. L’impatto della tragedia ligure sull’opinione pubblica ha portato il ministro a chiarire che il dicastero di Santiago monitora costantemente i viadotti e i ponti delle bretelle autostradali, come dire “il Cile non è l’Italia”.
In effetti, i numeri dicono che il Bel paese avrebbe difficoltà a proporsi come modello di riferimento. L’Italia ha il poco invidiabile primato del pedaggio autostradale tra i più cari d’Europa e i minori investimenti, tra i Paesi Ocse, per interventi manutentivi. Gli utenti francesi pagano mediamente 35 euro di pedaggio per ogni 400 chilometri percorsi sul sistema autostradale transalpino, gli automobilisti italiani per gli stessi chilometri sono tenuti ad un esborso di circa 40 euro. Va meglio agli utenti tedeschi, belgi e olandesi, del tutto esonerati dal pagamento del pedaggio, mentre in Svizzera e in Austria si paga un abbonamento annuale fisso che prescinde dal numero di chilometri percorsi.
In Spagna il dibattito è aperto. Il nuovo ministro dello Sviluppo, il socialista José Luis Ábalos, nelle scorse settimane ha dichiarato di voler eliminare i caselli nelle autostrade con concessioni di prossima scadenza. Già nel 2019 la AP-4 tra Siviglia e Cadice – un tratto di 93,8 chilometri con 21mila 790 utenti al giorno – o la AP-7 tra Alicante e Tarragona – di 373,8 chilometri – (entrambe con concessione ad Abertis) potrebbero percorrersi senza pedaggio. Con i costi di manutenzione che passeranno allo Stato, con una previsione di spesa di 37 milioni all’anno per 552 chilometri (3mila 307 chilometri sono assoggettati a pedaggio).
In Italia la discussione sulla nazionalizzazione del sistema autostradale è solo avviata, di certo occorrerà reperire fondi da riversare nella manutenzione, con una necessaria inversione di rotta rispetto al recente passato. Gli investimenti dei concessionari dal 2009 si sono ridotti, malgrado il forte incremento delle tariffe, in un rapporto inversamente proporzionale favorevole unicamente al profitto.
“Il nome di Atlantia” si legge sul sito della holding “si ispira al mito di Atlante, colui che secondo la mitologia greca era stato comandato da Zeus a sorreggere il peso della volta celeste”. In verità, l’unico fardello che la multinazionale sembra sostenere è il peso di un capitalismo malato. Altro che mitologia.