Tra gli otto e i quattordici anni facevo il chierichetto. I funerali erano piacevoli. Tutto il paese si riuniva, c’era un clima di vicinanza emotiva, noi chierichetti eravamo vestiti di tutto punto e al centro dell’attenzione. Alla fine della cerimonia i parenti ci regalavano qualche centinaia di lire e noi ragazzi ci sentivamo felici di essere vivi e desiderosi.

Un paziente imprenditore mi ha raccontato un sogno in cui lui partecipava al suo funerale. Ascoltava i commenti delle persone presenti. In particolare era interessato a quello che dicevano gli sconosciuti, quelli che non avevano mai avuto rapporti diretti con lui. Due di costoro affermavano: “Questa persona in vita aveva due palle così!”.

Questa settimana ho partecipato al funerale di uno zio novantenne. Durante l’elogio funebre ho riflettuto sul fatto che in effetti era una persona splendida e che le relativamente poche volte che lo vedevo mi trasmetteva sempre qualcosa di buono, gioia di vivere, una battuta, un sorriso. Dopo la cerimonia ho pensato a quante persone piacevoli conosco e che, per vari motivi, non vedo quasi mai. Mi è venuta voglia e mi sono ripromesso di contattare alcuni di loro, amici, colleghi o parenti, per organizzare qualche incontro.

Abbiamo superato la metà dell’estate e si avverte nell’aria l’avvicinarsi dell’autunno. Per molte persone che io cerco di assistere è la fase più difficile dell’anno. La depressione e gli stati ansiosi sono in agguato e sono molto più frequenti in autunno. Le riflessioni sul finire dell’anno e della vita compaiono in molti. La morte fortunatamente dona un senso alla vita in quanto proprio perché pone un termine ci impone di fare oggi e non domani quello che desideriamo o di perseguire i nostri progetti. La morte inoltre ci mette di fronte alla curiosità e al desiderio di conoscere qualcosa d’altro che c’è oltre la nostra finitezza. Cosa sia non è dato saperlo ma certamente l’infinito, grande e piccolo che ci circonda e attraversa, è tutto da scoprire.

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