L'Avvocatura generale risponde ai dubbi del Mise. Come anticipato da Il Messaggero, ha sostanzialmente detto che non c'è un "interesse pubblico" che possa portare all'annullamento d'ufficio della gara. Di Maio in una nota: "Rimane sospetto di illegittimità, profilo più rilevante legato a 'eccesso di potere'". Intanto ArcelorMittal pensa di aumentare i lavoratori riassunti, ma oltre i 300 taglierà il salario
La gara non è automaticamente annullabile, anche se ci sono effettivamente dei vizi. L’Avvocatura generale dello Stato ha inviato al ministero dello Sviluppo Economico il parere richiesto da Luigi Di Maio, rigettando di fatto la palla nel campo del vicepremier. Perché le “possibili anomalie” nel bando per l’assegnazione dell’Ilva, sulle quali il Mise chiedeva un chiarimento, secondo l’Avvocatura c’erano ma non si sostanziano in un interesse pubblico tale da procedere con l’annullamento di tutto l’iter. Anche perché, secondo quanto anticipato da Il Messaggero, la cordata vincitrice guidata da ArcelorMittal ha agito in buona fede. Insomma, dovrà essere Di Maio a decidere e dovrà farlo in poco tempo, perché – secondo la relazione dei commissari straordinari del siderurgico – i soldi a disposizione dell’azienda basteranno fino al 15 settembre.
Per il momento il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro risponde con una nota, in cui sottolinea come nelle 35 pagine del parere siano affrontate “sia le criticità rilevate dall’Anac che alcuni ulteriori profili segnalati all’attenzione dell’Avvocatura”. “Persistono forti criticità – prosegue Di Maio – e nuovi elementi fondamentali che porterebbero al sospetto di illegittimità dell’atto. Il profilo più rilevante è legato a ‘eccesso di potere’ e cioè al cattivo esercizio dello stesso, non essendo stato tutelato il bene comune e il pubblico interesse a causa della negata possibilità di effettuare rilanci per migliorare l’offerta”. “Tra le altre cose – si legge nella nota – l’Avvocatura evidenzia una possibile lesione del principio di concorrenza: lo spostamento del termine al 2023 per l’ultimazione degli interventi ambientali avrebbe dovuto suggerire una proroga del termine per la presentazione di ulteriori offerte”.
Domani, giovedì 23 agosto, Di Maio terrà una conferenza stampa al Mise. C’è fretta perché in meno di un mese dovranno essere sciolti tutti i nodi ancora esistenti. Ad iniziare da quello occupazionale, il più complicato. I sindacati non hanno ricevuto alcuna convocazione ufficiale al ministero per riprendere il tavolo delle trattative con ArcelorMittal. In un’intervista a La Repubblica, la numero uno della Fiom-Cgil, Francesca Re David, ha invitato Di Maio “a chiedere all’azienda di cambiare posizione, noi ci siamo spinti fin dove potevamo”. Informalmente, si parla di due possibili date per riaprire il dialogo: il 24 o il 27 agosto. Il faccia a faccia tra i rappresentanti dei lavoratori e gli acquirenti, quindi, si trasformerà probabilmente in una “no stop”. Anche perché, spiegano fonti vicine al dossier, al momento “un accordo sul nodo occupazionale è davvero ancora lontano”.
Tanto che l’azienda da giorni, secondo quanto risulta a Ilfattoquotidiano.it, sta provando a organizzare un nuovo incontro fuori dal tavolo ministeriale per illustrare ai sindacati quel “passo in avanti” promesso prima di Ferragosto quando Arcelor aveva detto di “non aver mai chiuso le porte” ma allo stesso tempo di dover tenere conto “del quadro economico”. Tradotto: il colosso dell’acciaio pronto a subentrare nella gestione dell’Ilva è disponibile ad aumentare il numero dei lavoratori presi in carico rispetto ai 10mila garantiti finora, ma oltre una certa soglia di surplus (quantificata al momento in 300 persone) dovrà rivedere al ribasso il costo del lavoro per singolo riassunto tenendo così invariato l’ammontare totale. Anche perché, raccontano fonti vicine all’azienda, in ogni caso non si arriverà a un transito nella nuova società di tutti gli attuali 13.522 occupati (11.155 se si escludono i dipendenti in cassa integrazione) e per “incentivare” le uscite viene considerato indispensabile creare un “balzello”.
Ora toccherà a Di Maio fare la prossima mossa, provando a rimettere insieme i pezzi e a siglare un accordo necessario sotto il profilo sostanziale per procedere con l’ingresso di ArcelorMittal negli stabilimenti. Sempre che il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro non decida di ascoltare l’anima del M5s che spinge per il “no Ilva” e rintracciare quell’interesse pubblico indispensabile per ricominciare da zero l’iter di assegnazione delle acciaierie. Trovando nello stesso tempo il modo per mandare avanti gli impianti che, secondo le stime dei commissari, hanno bisogno di 132 milioni di euro per funzionare almeno fino a dicembre. Un tempo che comunque non basterà per riavviare e chiudere la gara.