Era il 1976, Gad Lerner mi disse che al quotidiano Lotta Continua serviva un sostituto per Vincino che doveva andare in vacanza. Così arrivai nella sede del giornale con tipografia annessa, la porta vigilata da alcuni compagni del servizio d’ordine. C’era uno strano direttore, Enrico Deaglio, medico che di mattina prima di iniziare a fare il giornalista visitava i redattori malati, facendoli sdraiare sui tavoli e poi prescriveva medicamenti.

Vincino mi venne incontro con quel suo sorrisone, era grande e grosso e mi fu subito simpatico, spettinato con i vestiti raffazzonati, mi invitò quella sera stessa a cena. Abitava in una viuzza fetida nella zona dei Fori Imperiali, l’ingresso della palazzina era buio e sporco e io iniziai a temere di dover mangiare schifezze in un antro putrido. Vincino suonò alla porta del primo piano e quando si aprì restai a bocca spalancata vedendo una ragazza di una bellezza scioccante: Giovanna Caronia, sua moglie, che mi offrì pure una fantastica cena siciliana. Poco tempo dopo fummo chiamati a lavorare ai Quaderni del Sale da Pino Zac, il grande maestro che tornava in Italia dopo anni di fuga in Francia per una serie spaventosa di denunce per oltraggio a qualunque cosa. Fui io a trattare sui soldi con l’editore, anche per Vincino.

Ero entrato pensando a una cifra esagerata, 250mila lire al mese. L’editore mi accolse in uno studio faraonico e per tutto il tempo giocherellò con una manciata di diamanti grossi come nocciole. Io non potevo crederci e alla fine gli chiesi 500mila lire. Quando dissi a Vincino quanto ci davano si incazzò dicendo che non poteva accettare uno stipendio che era cinque volte quello di un operaio. Io gli dissi che poteva dare i soldi a chi voleva ma non provasse a contestare l’accordo.

Nello stesso periodo mi propose di collaborare al supplemento satirico di Lotta Continua, che intitolammo L’Avventurista. Poi la proprietà del Sale chiuse la rivista e con Pino Zac mettemmo insieme la redazione del Male, cambiando solo la lettere iniziale del titolo (da Sale a Male) cercando così di non perdere gli amati lettori. Il giornale stava allegramente fallendo quando in Francia un gruppo di terroristi dadaisti riuscì a sostituire un carico di copie di Le Monde con giornali contraffatti che arrivarono così nelle edicole. Quando lo raccontai a Vincino lui subito, sprezzante del pericolo, disse: “Facciamolo!”.

Così ci impossessammo della testata di Repubblica e uscimmo con un falso intitolato “Lo Stato si è estinto”.  E di lì a poco, all’indomani della sconfitta italiana alla finale dei mondiali di calcio,  uscimmo con un falso del Corriere dello Sport intitolato “Annullati i mondiali” che scatenò in tutt’Italia caroselli di tifosi, anche perché gli edicolanti esposero il nostro Corriere dello Sport al posto di quello vero. Ancora oggi mi chiedo perché poi nessuno ci denunciò, nonostante rubare la testata di un giornale fosse assolutamente vietato.

Forse eravamo troppo simpatici e nessun direttore avrebbe fatto bella figura coi suoi amici, dicendo che ci aveva portato in tribunale. Vincino fu indiscutibilmente il motore del Male perché era animato da un istinto suicida per il gioco. Qualunque rischio era accettabile, fosse fisico o legale. Un giorno durante una riunione di redazione ci mettemmo a guardarlo e ci rendemmo conto che con una pelata finta in testa assomigliava pazzescamente a Craxi. Così pochi giorni dopo una folta delegazione del Male accompagnava una copia perfetta di Craxi al congresso del Partito Socialista. Fu un capolavoro di tempismo incurante del pericolo che a confronto Mission impossible è una cavolata. Immagina migliaia di socialisti assiepati all’Eur di fronte al palco e improvvisamente dalle due porte ai lati del palco, compaiono due identici Craxi scortati da due codazzi di attendenti, salgono sul palco, si incontrano al centro e Vincino riesce a stringere la mano al vero Craxi, sbigottito.

Poi portare fuori da lì Vincino non fu facile perché quando il servizio d’ordine socialista capì la beffa scoppiò il finimondo e volevano mangiarselo vivo. Ma facemmo muro intorno al nostro Craxi e non riuscirono a torcergli un capello. Ci vendicammo del tentato omicidio con uno scoop colossale che faceva riferimento alla fama di seduttore di Craxi. Riuscimmo a organizzare in un appartamento l’incontro tra Vincino Craxi e Cicciolina Ilona Staller, mentre alla finestra di fronte eravamo schierati noi con il fotografo Giustibelli, collegati con la coppia via telefono. Ad un certo punto Cicciolina cercò di spingere il contatto fotogiornalistico verso una direzione orale e sentivamo Vincino opporre risoluta resistenza mentre raggiungeva livelli di imbarazzo da palermitano medioevale di fronte alla femmina spregiudicata nord europea. Giovanna vicino a me rideva per la crisi di panico del marito.

Lui era così, grande e grosso, con gli occhialoni, capace di entusiasmi illimitati, genialità, coraggio spaventoso e momenti di gentilezza e sensibilità grandissima, capace di emozionarsi con la potenza di un bambino. Si toglieva gli occhiali, li puliva e intanto ti guardava inclinando la testa di lato e ti faceva un mezzo sorriso dicendoti qualche cosa di buono. Eravamo un grande banda di irrispettosi e negli anni continuammo insieme a organizzare assalti al grigiore triste dell’Italia abbagliata da soldi e corruzione…

Con Vincino che ardiva irridere l’eroismo di Gianni Agnelli che aveva partecipato all’invasione della Russia ma era poi tornato a casa in settimana. Lo fece su Avaj (dai nostri nomi: Angese, Vincino, Andrea Pazienza e Jacopo); era il supplemento di Linus di proprietà degli Agnelli e ovviamente fummo cacciati. Lo face ironizzando sugli amori di Scalfari sull’Espresso e fu cacciato… E siamo andati avanti così, per 40 anni, radunandoci con un giro di telefonate ogni volta che c’era lo spiraglio per una nuova battaglia. È sempre finita che ci hanno eliminati dalla partita, ma abbiamo sempre vinto il gioco.

Di tutto quel che ho letto su di lui in questi giorni da coccodrillo spicca positivamente l’articolo di Fulvio Abbate che descrive in modo valente il disegnare di Vincino, e di come la china gli si srotolasse dalle dita sul foglio, con un ritmo magico. Perché oltre tutto sapeva pure disegnare.

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