Chiariamo subito un concetto: sono per il vino, sano, autentico, biologico, meglio se biodinamico, da bere tutti i giorni, un bicchiere al pasto. La vita è più bella per chi beve acqua e vino in modo intelligente. Per quel che ci riguarda, compresa la mia numerosa famiglia, le corporation che producono bevande gassate di vario tipo potrebbero tutte chiudere. Siamo rimasti all’acqua e/o vino, ogni tanto birra, viaggiando verso nord. C’è il mondo delle bevande zuccherate più o meno gassate, dei soft drinks più o meno alcolici, e poi c’è il nostro mondo. C’è il mondo dei consumi artefatti di massa e c’è il mondo dell’ozio libero, soggettivo e se possibile naturale. Il mondo della Coca Cola e il mondo del Bardolino di mia nonna (morta a 97 anni), fresco d’estate e rigorosamente tagliato con acqua del rubinetto. Siamo in netta minoranza, lo sappiamo. Tra l’altro i due mondi non comunicano tra loro, perché uno campa sulle spalle dell’altro, si sa che i consumi non possono essere infiniti.

Però non tutto è perduto. Sarà difficile che Pepsi Cola investa in vini di qualità (questione di cultura), però intanto ha incominciato a spendere i suoi tanti profitti per acquistare un’azienda che produce sistemi di produzione domestica di acqua gassata (Sodastream) e qualcosa vorrà pur dire. Meno bottiglie in Pet, meno inquinamento, meno bibite zuccherate (causa di diabete e obesità). La grande multinazionale delle bibite cambia strada? Troppo presto per dirlo, ma forse un segnale. Per il momento «solo» un affare da 3,2 miliardi di dollari, con qualche corollario interessante. Pepsi Cola è il marchio più diffuso nei paesi arabi, perché concorrente dell’imperialista americana Coca Cola.

Sodastream, al contrario, è una società 100% israeliana, che già ebbe i suoi problemi quando scelse di far veicolare la propria immagine dall’attrice Scarlett Johannsson, sicché venne fuori la storia che producevano nella zona di Gerusalemme occupata (indebitamente) dopo il 1967. Non molto ecologico per una ditta ecologica, né molto gradito oggi agli Arabi che i profitti dei loro consumi finiscano nelle tasche degli israeliani.

A parte queste divagazioni geopolitiche, a parte i soliti rilievi degli specialisti del settore che evidentemente stimano in crescita i fatturati delle bevande «ecologiche», ci piacerebbe che questa decisione da 3,2 miliardi significasse qualcosa di più che solo una buona mossa per gli azionisti di Pepsi. Vorrei esprimere un desiderio di ordine generale. È vero che i consumi si stanno spostando verso un versante più ecologico? Allora limitiamo e controlliamo meglio la pubblicità nei settori alimentari e della nutrizione. Personalmente sono stufo di essere martellato in ogni dove da suggerimenti per mangiare e bere, così tutti dobbiamo per forza fare quello che pare a qualcun altro, bere tremendi spritz, mangiare in pessimi ristoranti stellati. L’epoca in cui consumiamo soprattutto ciò che piace ai produttori, grandi industrie multinazionali, dovrebbe avviarsi alla fine, se non almeno a un suo ridimensionamento.

Questi settori, per esplicita ammissione degli stessi operatori, sono sempre stati quelli in cui i consumi erano funzione degli investimenti pubblicitari: cioè più frastorni i consumatori, più vendi. Vorremmo essere lasciati in pace, dalle prescrizioni salutiste di qualche istituto di pseudo controllo, così come dalla pubblicità ossessiva e ormai soprattutto occulta, dalle riviste e dalle trasmissioni televisive gastroalimentari. Come nelle questioni personali, la morale, la religione, il sesso etc., vorremo essere lasciati senza consigli, per fare quello che ci pare, senza subire l’insistenza da scout travestiti (male) con la quale dobbiamo invece convivere in misura crescente. Questo ci sembrerebbe l’atteggiamento più ecologico: non forzare i consumi, ridurre la pubblicità, spendere per altro. Un bicchiere di acqua e vino o quello che ci pare, purché in silenzio, senza più suggerimenti, strilli e forzature del marketing. Nemmeno per finalità «ecologiche».

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