Pur di svolgere attività accademica e aprire campus in Egitto, “sembrano avere dimenticato Giulio Regeni” e “chiudono un occhio” di fronte agli abusi sui diritti umani in quel Paese. È l’atto di accusa che un gruppo di 200 professori universitari di punta in Gran Bretagna ha rivolto ad alcuni loro colleghi e ai tentativi del governo di raggiungere partnership fra università britanniche ed egiziane, scrivendo una lettera dal titolo ‘I cinici legami delle università del Regno Unito mettono il profitto davanti ai diritti umani’ che poi è stata inviata al quotidiano Guardian. Un testo in cui viene ricordato che il ricercatore friulano solo due anni fa, quando era studente a Cambridge, “è stato rapito, torturato e ucciso mentre faceva ricerca al Cairo”.
Era il 25 gennaio 2016 quando Giulio Regeni veniva rapito al Cairo, per poi essere torturato e trovato cadavere il 3 febbraio. Si trovava in Egitto per svolgere una tesi di dottorato sui sindacati indipendenti degli ambulanti per conto dell’università di Cambridge. Il 10 gennaio scorso Maha Abdelrahman, la tutor del ricercatore di Fiumicello, è stata interrogata dalla Procura di Roma, secondo cui è responsabile di aver inviato Regeni a lavorare su un tema politicamente sensibile e con metodi troppo rischiosi. Prima dell’audizioni, per mesi le autorità italiane hanno puntato il dito contro l’Università di Cambridge, mentre le istituzioni nel frattempo proseguivano con la normalizzazione dei rapporti con il regime di Al Sisi e la ripresa a gonfie vele delle relazione commerciali, opera culminata con la decisione del 14 agosto 2017 di rimandare l’ambasciatore in Egitto.
È passato ancora un anno da quella decisione, ammantata dalle promesse dell’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dell’ex ministro degli Esteri Angelino Alfano di un passo in avanti nella vicenda. Ma ancora il 5 agosto scorso all’attuale titolare della Farnesina Enzo Moavero Milanesi sono stati assicurati “risultati concreti” dal governo egiziano. Mentre Matteo Salvini il 18 luglio scorso è andato in Egitto a incontrare Al Sisi, dicendo che la “giustizia egiziana sarà rapida”. Dall’omicidio sono passati 3o mesi, due anni e mezzo.
E nella stessa lettera degli anni accademici inglesi si fa riferimento alle “domande senza risposta” che ancora oggi accompagnano la ricerca della verità per quando accaduto a Regeni. Eloquente che la missiva contenga infatti anche una foto di alcuni professori di Cambridge che in una conferenza stampa espongono lo striscione giallo di Amnesty International in italiano con la scritta “Verità per Giulio Regeni”. Ma non solo, perché i due 200 accademici fanno riferimento anche a questioni più generali, come la libertà accademica, il trattamento del personale Lgbt, sacrificati in nome di una “commercializzazione” dell’istruzione superiore. La missiva infatti è una risposta all’iniziativa del governo di Theresa May che ha promosso una serie di partnership universitarie in Egitto durante una visita in giugno. “Le università del Regno Unito e il governo britannico stanno promuovendo partnership fra le alte istituzioni dell’istruzione di Uk ed Egitto. Una serie di memoranda of understanding firmati negli ultimi anni hanno gettato le basi affinché le istituzioni britanniche stabiliscano branche di campus internazionali e altri programmi”, scrivono i firmatari.
“Abbiamo dubbi sulla saggezza e la legittimità di questa mossa, di fare affari come se niente fosse con un regime autoritario, che sistematicamente attacca la ricerca, l’istruzione e la libertà d’insegnamento”, scrivono i professori. “I funzionari del governo e i manager universitari sembrano avere dimenticato che solo due anni fa Giulio Regeni, uno studente di Cambridge, è stato rapito, torturato e ucciso mentre faceva ricerca al Cairo. Giulio è uno dei molti studenti e accademici a essere stato arrestato, torturato, incarcerato e ucciso negli ultimi anni in Egitto, nel contesto di una sempre più ampia campagna di repressione che prende di mira l’opposizione politica, sindacati, società civile, media indipendenti e la professione legale”, prosegue il testo. Poi conclude: “Non crediamo che le università rappresentate dalla recente delegazione in Egitto possa garantire la sicurezza o la libertà di espressione del suo staff accademico o degli studenti”.