Che di Salvini bisognasse diffidare – ben prima delle sue politiche ai limiti del rispetto dei diritti umani e del disprezzo per la Costituzione – lo si era capito in almeno due momenti della sua lunga e, purtroppo per noi, fortunata carriera. Stiamo parlando infatti di quel parlamentare che a Pontida, nel 2009, cantava “Senti che puzza, arrivano i napoletani”. Di colui che si è distinto per numero di assenze al Parlamento europeo, al punto da attirarsi le ire di Marc Tarabella, eurodeputato socialista belga, che lo ha sbugiardato durante un dibattito in aula per una direttiva sugli appalti pubblici, definendolo “fannullone” per il suo assenteismo.
Poiché il nostro popolo, quella “nazione italiana” che di fatto non esiste – non nella misura in cui la intendono i sovranisti, come spiego altrove – ha la memoria molto corta, sarà utile ripercorrere alcuni momenti in cui il nostro ministro dell’Interno ha dimostrato di non essere all’altezza della carica che ricopre. Volendo citare il costituzionalista Roberto Bin, riguardo ai rumors per cui potrebbe essere possibile un’azione legale contro il leader leghista, «è inevitabile che qualche procura si stia muovendo, non si può lasciar stracciare la Costituzione da parte di politici inclini a un autoritarismo che non ha precedenti. Se non, appunto, nel fascismo».
Autoritarismo che ha le sue vittime privilegiate: non solo i migranti, ma anche le persone Lgbt, prole inclusa. Pazienza che questi attacchi poggino poi sul nulla sostanziale, se guardiamo ai poteri che ha il ministro riguardo a questioni che toccano omogenitorialità e trascrizioni. Come ci ricorda un altro che di Costituzione se ne intende – Angelo Schillaci, ricercatore della Sapienza – «il governo non ha alcun potere di intervento amministrativo sugli atti di stato civile. Su annullamenti e rettifiche di questi ultimi è competente il solo giudice ordinario, su richiesta degli interessati o della Procura della Repubblica». Insomma, quando Salvini va in tv o in Parlamento a dire che annullerà le trascrizioni dei figli dei papà e delle mamme arcobaleno, o mente o non sa cosa sta dicendo.
Per altro, è vizio non nuovo quella di prendersela con i genitori Lgbt. Fissazione che fa perdere lucidità al nostro, quando dice che grazie a lui si sarebbero ripristinati i nomi di “papà” e “mamma”, abolendo le diciture “genitore 1 e 2”. Anche qui, il nostro ignora – e se finge di ignorare, mente – che nessuno va in giro a cambiare i termini. Per inciso, nelle famiglie omogenitoriali si usano le parole che si usano nel resto del Paese. Né si vuole che a casa la celebre casalinga di Voghera venga accompagnata con un numero, nell’esercizio suo ruolo genitoriale.
A tal proposito, in un momento di grande solerzia – durante un’intervista ad un sito ultracattolico – Salvini dichiarò che aveva fatto togliere dai moduli per la carta d’identità elettronica, nel sito del ministero, proprio le diciture incriminate. È stata Caterina Coppola, direttrice di Gaypost.it, a sbugiardarlo anche su questo: «“Padre e madre” non risulta da nessuna parte. Quello che si legge è “genitori” o “tutore” (nei casi in cui il minore non sia più affidato ai genitori ma ad un tutore legale)». Sul sito la giornalista ricostruisce la vicenda e, contrariamente a quanto rassicurato a certo elettorato integralista, non è accaduto nulla di quanto promesso.
Ma la sciatteria politica non è il solo problema. C’è, ancora, quel gigantesco problema di senso dell’opportuno che sfugge completamente al ministro. Il giorno stesso della tragedia del ponte Morandi a Genova, Salvini rassicurava che nonostante fosse una “giornata così triste”, si poteva gioire del mancato attracco di migranti dell’Aquarius, lasciati a vagare da qualche parte nel Mediterraneo. Ai funerali non ha avuto remore a farsi fotografare nel selfie di rito, mentre il Presidente Mattarella – evidentemente dotato di maggior senso delle istituzioni – confortava i parenti delle vittime.
Insomma, tra profonde inesattezze (che sembrano bugie) e la solita propaganda, si ha la fastidiosa sensazione che il leader che incantato il nostro popolo con lo slogan di “prima gli italiani” si stia costruendo un consenso personale – a quando, a questo punto, il culto della personalità? – con toni da campagna elettorale permanente, infischiandosene delle leggi, della Carta fondamentale e dei diritti umani. E se l’Espresso dice il vero, tutto questo da quando è diventato ministro avviene a scapito delle tasche degli italiani. Sì, proprio coloro che dovrebbero venir prima. E di cui, stranamente, tra un tweet e una grigliata sulla spiaggia, non ci si occupa mai sul serio.