da Maurizio Donini
L’esplosione della crisi finanziaria turca con il crollo della sua valuta non sorprende più di tanto: gli analisti da tempo mettevano in allarme sulle scriteriate politiche del presidente Erdogan. Ma non è la caduta della lira turca l’argomento in oggetto, quanto gli aspetti monetari. La politica economica di Ankara è stata basata sulla continua emissione di moneta ‘sovrana’, con aumento dell’inflazione e crollo della credibilità della valuta. Gli effetti sono stati un’inflazione arrivata al 16%, continuando a stampare moneta a più non posso. Il ‘sovranismo’ è entrato anche nella tentata nomina di Marcello Foa a presidente della Rai, prima ancora l’affaire Savona: ma è parte del dna dei vari rappresentanti e sostenitori del nuovo assetto M5S-Lega. Purtroppo si tratta di una genìa più avvezza a cercare fonti sui social, che negli studi di macro-economia, e la crisi turca dimostra come i mercati, lo spread, gli equilibri economici e la globalizzazione poco abbiano a che fare con l’economia diplomata su Google.
Uscire dall’Eurozona sarebbe la panacea di tutti i mali italiani? Tralasciando alcuni aspetti del ritorno alla Lira o altro nome di fantasia, ci sarebbero alcuni problemini pratici come l’adeguamento della contabilità, gli aggiornamenti di tutti i software, alcune centinaia di miliardi da restituire come il Target 2 (circa 480 mld). Qualcuno ha anche avanzato l’ipotesi di un complotto che avrebbe previsto un solo weekend per tornare alla moneta sovrana, quando Londra per la Brexit, senza dover cambiare valuta, ci sta impiegando tre anni. La stampa continua di moneta avrebbe l’effetto di espandere il debito con conseguente aumento del debito pubblico e degli interessi, quindi ulteriore debito per ripagarli. Giova ricordare che negli ultimi 15 anni solo un paio di volte, in piena crisi, il nostro avanzo primario (Pil al netto degli interessi) è stato negativo.
Fatte queste doverose premesse, concentriamoci sulla moneta, se i sovranisti facessero la fatica di leggere i testi di Paul De Grauwe sulla moneta, basterebbe loro il prologo per dissolvere ogni dubbio. L’insigne economista belga, uno dei maggiori esperti mondiali, è famoso per la sua previsione sul futuro dell’euro in tempi non sospetti, quando definì la moneta unica “una bellissima casa, ma senza il tetto, finché splende il sole tutto va bene, ma se inizia a piovere ti bagni”. Il valore intrinseco della moneta è nullo, il suo scopo è di fare da tramite ed agevolare le transazioni; ne deriva che affinché la stessa sia accettata deve soddisfare due condizioni essenziali: la diffusione e la convertibilità.
Restando nei tempi moderni, vediamo come i vari sistemi Gold Standard e gli accordi di Bretton Woods, senza addentrarsi in tediosi dettagli tecnici, tendessero alla soluzione ideale di avere una moneta unica a livello mondiale, la cui convertibilità in altre valute o beni, fosse garantita. La moneta si pone come un impegno da parte del paese emittente a cambiarla in altra moneta o bene di eguale valore ad un cambio prefissato. In questa maniera il possessore della moneta ha la certezza che il valore rimane immutato, la accetta senza problemi sapendo di poterla cambiare nella valuta del proprio paese o di altro di suo gradimento. L’affidabilità della moneta è data dalla reputazione, termine che oggi va tanto di monda sul web, dell’emittente.
Una nuova liretta soddisferebbe questi due requisiti essenziali? Assolutamente no! La diffusione sarebbe limitata al nostro paese, l’affidabilità di un emittente che ha abbandonato l’Eurozona non riuscendo a rispettarne i vincoli di bilancio sarebbe bassissima. Se oggi per comprare il petrolio usiamo gli euro o i dollari, poniamo in questo caso di acquistare i dollari con cambio 1 a 1 e quindi pagare un dollaro (arrotondando) 2.000 lire; domani la nostra lira varrebbe così poco ed avrebbe così poca accettazione che per acquistare i dollari necessari dovremmo versare ben di più, ipotizziamo 2.500/3.000 lire.
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