Big Fish – Le storie di una vita incredibile (2003) – Una fantastica odissea
Nella sterminata galleria dei personaggi agghindati dal genio californiano, Ed Bloom rappresenta forse il carattere più emblematico. Non per estetica – Ewan McGregor (Trainspotting e Moulin Rouge!) e Albert Finney (I duellanti e Skyfall) non fanno altro che tratteggiare stagioni diverse di un uomo qualunque – quanto piuttosto per l’inclinazione a trasformare l’ordinario in straordinario, per la capacità di tessere illusioni talmente vivide da tramutarsi in realtà. “A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie” ed ecco dunque la telecamera avventurarsi nelle peregrinazioni di un novello Ulisse – nient’affatto casuale è il riferimento al capolavoro di James Joyce – la cui fantasia non si traduce però nell’estetica barocca simbolo delle precedenti opere di Burton. Questa volta, infatti, quasi a voler bilanciare la poesia surreale dei paesaggi circensi tratteggiati dal suo eroe, il cineasta americano lavora di sottrazione, celando il proprio tratto barocco dietro a una regia solida e geometrica, eppure straordinariamente espressiva. Immediato riscatto del precedente e poco riuscito Il pianeta delle scimmie, Big Fish conferma l’attrazione del suo autore per le fonti letterarie, rintracciando i propri natali nell’inchiostro dell’omonimo romanzo di Daniel Wallace.