Un bel thriller psicologico e giudiziario, di quelli nero pece che mettono in discussione la coscienza mentre tengono incollati gli spettatori alle poltrone delle sale cinematografiche. Potrebbe essere la descrizione de Il testimone invisibile, il nuovo lungometraggio del romagnolo Stefano Mordini, reduce dal buon Pericle il Nero e con una manciata di lavori in curriculum tutti interessanti, se non completamente riusciti. Come per il film sopra citato, Mordini ha chiamato Riccardo Scamarcio quale suo protagonista che però, stavolta, condivide la scena con un trio di altissima qualità e notorietà: Miriam Leone, Fabrizio Bentivoglio e Maria Paiato.
Prodotto e distribuito dalla Warner Bros Italia per l’uscita prevista il 3 gennaio 2019, il film mette in evidenza il dramma di Adriano Doria (Scamarcio), imprenditore bello e di successo che un giorno si risveglia notando al suo fianco il corpo esanime della sua amante (Leone). Cosa sia accaduto veramente è il cuore (misterioso) del thriller, per lo più girato fra i monti del Trentino e parzialmente a Roma. L’uomo è naturalmente accusato di omicidio benché fermo sulla propria presunta innocenza: lo dovrà difendere una penalista (Paiato) nota per aver sempre vinto le proprie cause. Ma a far capolino, complicando le cose, ecco comparire un testimone, rimasto appunto “invisibile”.
“Entrambi il mio personaggio e quello di Miriam hanno un’altra relazione e dopo il lungo weekend che trascorrono insieme da amanti accade qualcosa mentre stanno rientrando: lui alla guida e lei al suo fianco. Un cervo taglia loro la strada e qui accade un fatto atroce attorno al quale tutto ruoterà” spiega l’attore pugliese prima di passare a lodare la regia di Mordini: “Si tratta di un thriller esemplare come pochi ne esistono in Italia, nel quale viene rispettato il rigore a tutti i livelli, anche come recitazione, non ci sono mai concessioni a improvvisazioni”. Da parte sua Miriam Leone aggiunge che il film è dotato di “grande sensualità nel senso si lascia denudare poco a poco, penso lascerà gli spettatori incollati alle poltrone; quando ho letto la sceneggiatura non ho potuto mai interrompermi, neppure per bere un bicchiere d’acqua: continuavo a chiedermi dove sarebbe andata questa storia e una volta compreso come abbia fatto a terminarla così bene.” La risposta, forse, ce l’ha proprio il 50enne regista Mordini, asserendo di aver “fin dalla scrittura cercato subito una direzione precisa per realizzare un film elegante e netto, ricco della consapevolezza esatta di cosa e come far vedere le cose di volta in volta. Si tratta – aggiunge Mordini – di un’opera determinata dagli ambienti, un racconto che alterna l’ampiezza visiva di vette montane alte 3200 mt fino ai boschi dove la luce filtrava a fatica: sono le chiare metafore delle numerose ombre di cui questo film si compone”.