Alberto Barbera “maschilista tossico”. Venezia 75 senza donne alla regia. A poche ore ore dal via della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2018 (padrino Michele Riondino), quando ancora non sono state ancora montate le passerelle del red carpet, il coperchio della bara lo voleva inchiodare Hollywood Reporter. Nello shaker del blasonato j’accuse sono stati mescolati il priapismo di Silvio Berlusconi e le vallette di Canale 5, l’invito della mostra dell’anno scorso al regista James Toback (poi accusato di molestie), la proiezione tra i classici quest’anno del documentario di Bruce Weber (accusato mesi fa pure lui di molestie), e una foto a corredo dell’articolo che sembra tratta da Venezia, la luna e tu con Sordi gondoliere. Il reato compiuto da Barbera, e dalla Biennale Cinema tutta, è quello di aver invitato in Concorso solo una regista donna. Lei è l’australiana Jennifer Kent che ci aveva fatto tremare con l’horror Babadook. Il film è The nightingale. E da sinossi ufficiale dovrebbe farci osservare da vicino proprio una vendetta al femminile da brividi e zeppa di sangue.
I film si scelgono “per le qualità intrinseche e non perché sono fatti da donne”, ha spiegato Barbera. Chiaro, il problema sta a monte. Nel cosiddetto “sistema”. Ma alla fine il dato, volontariamente o meno, è sconcertante. Una su mille, anzi su ventuno, e ce la fa. Tanti i titoli in gara per il Leone d’Oro 2018. E soprattutto tanti i film lunghi. Eternamente lunghi. La media, in termini di durata, sui ventuno partecipanti va oltre le due ore. Con almeno dieci titoli oltre le due ore e mezza. Il Leone della durata fiume spetta a Florian Henckel von Donnersmarck (Le vite degli altri) che con il suo nuovo film Opera senza autore si inerpica sui 188 minuti. Non da meno Mike Leigh con Peterloo (154) e Carlos Reygadas con Nuestro tiempo (173). Anche la Kent non scherza con i suoi 136 minuti. Mentre fanalino di coda, l’unico film in Concorso sotto l’ora e quarantasette, è Zan (Uccisione) del redivivo Shinya Tsukamoto. E sulla questione tempo, d’attesa, per leggere giudizi e impressioni sui film in gara si gioca anche l’ultima mossa antimoderna di Venezia 75. Sul web c’è l’embargo per la pubblicazione di recensioni e articoli fino a quando non inizia la prima proiezione del pubblico (solitamente quella serale da 100 euro a biglietto in Sala Grande). Ed ai tempi dei social, maschilisti tossici o meno, è roba da giurassico.