Sergio Lana, Guido Puletti e Fabio Moreni erano partiti da Brescia per una spedizione umanitaria nel 1993. Uno degli assassini potrebbe essere il cugino di Paraga, che lo stesso ex comandante delle forze paramilitari bosniache aveva indicato come uno dei due militari che aveva compiuto la strage
Hanefija Prijic, il comandante Paraga, è libero. Ma la magistratura resta sulle sue tracce. L’ex capo delle milizie paramilitari bosniache, scarcerato martedì dopo aver scontato la pena comminata per la strage di Gornji Vakuf in Bosnia, in cui persero la vita tre volontari italiani, è stato espulso dall’Italia. Ma la procura di Milano ha aperto un’inchiesta, per ora contro ignoti, per chiarire chi effettivamente abbia sparato a Sergio Lana, Guido Puletti e Fabio Moreni.
I giudici lo hanno interrogato una volta uscito dal carcere, prima che si dirigesse all’aeroporto Malpensa per imbarcarsi in direzione Sarajevo, dove ad attenderlo c’era la figlia. Insieme ai tre volontari uccisi, in quel 29 maggio del 1993 sulle montagne tra Sarajevo e la cittadina di Zavidovici, a far parte della spedizione umanitaria che da Brescia era partita per portare cibo e medicine alle popolazioni in guerra, vi erano anche Agostino Zanotti e Cristian Penocchio, che si sono salvati perché fuggiti nei boschi. Uno degli assassini potrebbe essere Sabahudin Prijic, detto Dino, cugino di Paraga, che lo stesso Paraga, durante il processo italiano, aveva indicato come uno dei due militari che aveva compiuto la strage.
Dal 2001 è ricercato dall’Interpol, oggi non si sa dove sia. A riconoscerlo in fotografia erano stati anche Zanotti e Penocchio, sentiti in tribunale a Brescia dal giudice Elena Stefana che, su rogatoria del tribunale di Travnik, aveva mostrato gli scatti ai due sopravvissuti. Un’immagine ritraeva Dino, che per i due testimoni sarebbe stato presente al massacro, armato di kalashnikov. Pure lui avrebbe sparato. A maggio la Corte di Cassazione aveva confermato la sentenza a vent’anni di reclusione a carico di Paraga, emessa il 29 settembre scorso dalla Corte d’Assise d’Appello di Brescia. E così, venticinque anni dopo quell’eccidio, se il mandante ha un nome gli esecutori materiali non ancora.