Nella stagione che stiamo vivendo una parte importante hanno anche le “parole”, il loro uso distorto o deviato, la deriva verso un linguaggio sempre più sgraziato e truculento. La “tendenza” è esplosa con un tripudio inarrestabile sui social. Ma preoccupa che abbia contagiato anche uomini politici con rilevanti responsabilità istituzionali. Eccone alcuni esempi.
Paola Taverna, vice presidente del Senato, ha trattato il tema vaccini con battute grevi. Quella, ormai virale, della “processione a casa de mi cuggino” quando aveva il morbillo, con la zia che “se sgrugnava tutti i nipoti”, che così “c’avevano la patologia e se l’erano levata dalle palle”. E l’altra, meno citata ma persino peggiore, sui centri vaccinali, brutalmente definiti come “simulabili a quelli dove si fanno i marchi pe ’e bestie”.
Il ministro dell’Interno e vice presidente del consiglio, Matteo Salvini, sta trasformando il Viminale in una macchina di conflitto e propaganda permanenti. Detta regolarmente l’ordine del giorno a colpi di comparsate televisive, interventi sui social e tweet che l’informazione di solito si limita ad inseguire. Spregiudicatezza e cinismo prevalgono. Le persone che sui barconi soffrono portano voti e servono per pressioni politiche. Parole assurde (pacchia, crociera, palestrati…) aumentano la febbre e innalzano muri mentali.
Mentre chi ha identiche responsabilità di governo (Luigi Di Maio) per ora sostanzialmente si adegua al Viminale. Così, alla minaccia di censimento dei rom – in chiaro odore di motivazione etnica – si contrappongono parole infelici (“prima sarebbe bene censire i raccomandati in Rai”) che rivelano una sensibilità per i valori costituzionali non eccelsa.
Poi il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli e la questione Tav. Sempre restando nel perimetro del linguaggio e senza entrare nel merito, la rivalutazione costi/benefici dell’opera (prevista nel contratto di governo giallo-verde) è stata “insaporita” con frasi in stile grand guignol tipo “sanguisughe sulla pelle viva del popolo italiano” e “mangiatoia finita”; così alludendo a illegalità e nefandezze varie come già irreversibilmente perpetrate. Ma delle due l’una: o si portano a riscontro fatti precisi e concreti sullo specifico versante Tav, oppure si offendono coloro che da anni ce la mettono tutta per garantire che la legge sia rispettata: non solo fronteggiando le violenze contro il cantiere e gli operai, ma anche prevenendo (fin qui con successo) ogni irregolarità. Un linguaggio che oltretutto rischia di far apparire come “predestinato” a certi esiti l’accertamento costi/benefici. Perché se le parole sono pietre, quelle di un ministro sono macigni.
Per concludere, una pennellata di colore rigorosamente nero cupo. Un importante esponente politico del Carroccio abruzzese ha minacciato i magistrati di Agrigento che si occupano della nave Diciotti con parole vergognose: “Se toccate il Capitano (Salvini) vi veniamo a prendere sotto casa… occhio”. Mancavano le intimidazioni squadristiche!