C’erano anche i  fondi europei per rendere utilizzabile un bene confiscate ai prestanome di Matteo Messina Denaro. Che però rimarrà vuoto: non sarà usato per dare riparo ai migranti diretti nelle campagne della provincia di Trapani per la vendemmia e la raccolta delle olive. Saranno costretti ad alloggiare sui terreni degli eventuali datori di lavoro. Da oltre un decennio i braccianti agricoli si davano appuntamento in una tendopoli spontanea in contrada Erbe Bianche a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani. Restavano lì in attesa di ricevere le chiamate di imprese e agricoltori locali. Adesso, però, dopo aver smantellato le ultime capanne esistenti, la prefettura di Trapani ha emesso un’ordinanza di “divieto di bivacco“. Resterà sbarrato, dunque, l’accesso all’oleificio confiscato Fontane D’Oro, che negli ultimi anni era stato trasformato in un campo. Si chiamava “Ciao Ousmane” per ricordare un bracciante ucciso nel 2013 dall’esplosione di una bombola usata su un fornellino da campo. La struttura si trova a poche centinaia di metri dai campi coltivati e lo scorso anno il comune aveva speso 60mila euro per dotarlo di docce, servizi e reti di protezione per ospitare 250 regolari.

Nel corso di alcuni tavoli tecnici organizzati dalla prefettura era emersa la possibilità di utilizzare un altro bene confiscato all’imprenditore Giuseppe Grigoli, condannato per i suoi legami con Messina Denaro, e adesso collaboratore di giustizia. Si tratta di un magazzino che si trova a Castelvetrano e – secondo il progetto presentato dalla Prefettura di Trapani – poteva essere utilizzato interamente per ospitare i migranti impegnati nei campi agricoli. Ma dopo diverse opinioni positive dell’Agenzia dei Beni confiscati e del Ministero dell’Interno non è mai arrivato il via libera definitivo. “Questa chiusura è insipegabile perchè l’utilizzo dei beni confiscati è la soluzione adeguata non essendo a carico dello Stato e rientrando nel Pon Inclusione finanziato dalla Comunità Europea”, dice Yvan Sagnet, ex bracciante, tra i fondatori dell’associazione NoCap. La linea di finanziamento è regolata dal protocollo “Cura-Legalità-Uscita dal Ghetto” firmato da vari Ministeri con le cinque regioni maggiormente coinvolte dal fenomeno (Basilicata, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) che ha poi dato vita alla legge 199/16.

L’olio prodotto nelle campagne trapanesi appartiene all’elite dell’export italiano e dalle indagini giudiziarie è emerso l’interesse di Cosa nostra nell’intera filiera del business. L’operazione dei carabinieri Anno Zero, per esempio, ha accertato compravendite patrocinate dai sodali dei boss e intimidazioni (ulivi tagliati) ordinate da capimafia. Negli ultimi anni il numero di persone arrivate nella zona per raccogliere le olive tra settembre e novembre (principalmente senegalesi e tunisini) è gradualmente cresciuto e dallo scorso anno è attivo uno “sportello sperimentale” ideato per incrociare i dati dei lavoratori in cerca di occupazione e gli imprenditori alla ricerca di manodopera. I dati del 2017 parlano di 846 lavoratori iscritti, di cui 696 assunti da 127 aziende ma in totale risultano avviati 1027 lavoratori da 207 aziende. “Non è la risoluzione di un problema ma l’inizio di un percorso di legalità, accogliendo i lavoratori intendiamo responsabilizzare gli imprenditori poi le forze dell’ordine hanno garantito dei controlli sul rispetto dei contratti. L’obiettivo è ridurre il numero di persone che arrivano qui senza poter lavorare – conclude – agevolando l’incontro tra domanda e offerta. Useremo anche whatsapp per contattare i migranti: sono gli stessi metodi dei caporali, ma nella legalità”, dice Giacometta Giacalone della Cgil di Trapani.

Agli imprenditori verrà erogato un contributo di 4 euro al giorno offerto dall’Ente Bilaterale agricolo, finanziato da sindacati confederali e associazioni di categoria e in base al Testo unico sulla sicurezza sarà consentita l’ospitalità per un massimo di 30 giorni nei terreni e dovranno essere offerti corrente elettrica e  servizi igienici. “Tutti i lavoratori saranno accolti dagli imprenditori – dice Salvatore Inguì di Libera – ma quelli che saranno in attesa di stabilire un contatto lavorativo si troveranno abbandonati sul territorio. Avevamo chiesto di attivare uno dei beni confiscati quantomeno come luogo di transito per coloro che attenderanno di trovare lavoro, ma dalla Prefettura abbiamo avuto un no secco“. “È una brutta soluzione – conclude Sagnet – soprattutto perchè viene fatta a ridosso della raccolta. Anche gli stessi imprenditori si troveranno con una pianificazione immediata e per loro non sarà comodo”.

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