Cosa faresti se tuo figlio fosse gay? La domanda che di recente un giornalista ha rivolto a Papa Bergoglio, chiedendogli cosa consigliare a un genitore che scopre di avere un figlio gay, non è affatto sciocca. Non lo è perché arriva sempre, nella vita di un genitore, il momento in cui qualcuno te lo chiedi o in cui l’argomento viene a galla. Non lo è perché, per quanto ognuno di noi possa essere illuminato e progressista, in molti abbiamo ancora la necessità di capire quanto nostro figlio o nostra figlia siano “normali”. Ma normali, o diversi, da chi?
L’insistenza di un genitore nel sapere se “tutto è al posto giusto” nel peggiore dei casi ha lo scopo di valutare nient’altro che noi stessi, in quanto madre e in quanto padre, secondo un metro permeato da stereotipi (madre più docile e permissiva, padre più severo) e nel voler a tutti i costi riconoscere quanto abbiamo saputo calibrare questi due ruoli tanto da non creare confusione. Nel migliore dei casi è più realisticamente il desiderio di capire se nostro figlio o nostra figlia potranno essere felice a viso scoperto, potranno vivere dei loro desideri o dovranno lottare per affermare la propria sessualità, quella parte (tra le tante) di noi se stessi, che per una società sembra giocare un ruolo predominante.
Ma se le domande aiutano a conoscere e quindi a crescere, le risposte sbagliate possono creare gravi danni. È quanto rischia di innescare la dichiarazione in cui si è incagliato Papa Bergoglio che, accostando l’omosessualità in giovane età con la psichiatria, intesa come sua possibile cura, non solo rischia di creare una marea di infelici ma (in questo caso davvero) un marea di malati indotti. Il limite della dichiarazione di Bergoglio sta tutto lì, nel considerare ancora una volta l’omosessualità una malattia. Lo psichiatra è un medico, che spesso prescrive farmaci per persone malate. L’omosessuale, invece, non è un malato e non si capisce perché dovrebbe essere curato da un medico o assumere farmaci. Ma poi, per cosa?
Ci sono muri contro i quali la Chiesa si scontra tutt’oggi e che la rendono anacronistica. Ma in questo caso la posta in gioco è troppo alta per essere sottovalutata e va ben oltre l’arretramento culturale. C’è l’effetto boomergan di un Papa le cui parole entrano nelle case di tutti che non solo dimostra di non essere informato sull’omosessualità, ma si spinge oltre consigliando la psichiatria per i bambini che manifestano “un’inquietudine“. Ma precisamente, cos’è questa inquietudine? In quali casi? Fino a che punto possiamo spingerci nel considerare un bambino gay e quindi psichiatrico? Dove inizia e finisce il limite, per un bambino di tre, cinque o sei anni, che non conosce neanche la sessualità?
Allora, tornando alla domanda iniziale: cosa farei se uno dei miei due figli fosse gay? Non lo so, forse niente di particolare se non mettermi all’ascolto, come si fa quando un figlio è più timido o più estroverso dell’altro. Quel che so, certamente, è che non lo farei curare, perché si curano le malattie, non i desideri.