Cinema

Venezia 75, A Star is Born: Bradley Cooper e Lady Gaga in una delle love story più toccanti del nuovo secolo

La quinta versione di È nata una stella (produzione Warner) è un concentrato puro di romanticismo e dramma, parallelo e contrario percorso di ascesa e caduta del pigmalione musicale e della sua nuova casuale amata scoperta, come storica trama un po’ trita vuole. Con un tocco però di energica delicatezza e di straziante tragicità che Cooper, qui alla sua prima regia, dona con inattesa e ammaliante magia

Venezia 75 e il naso di Lady Gaga. Se ogni film ha una sua inquadratura ideale, un proprio dettaglio autentico e riuscito, quando andrete a vedere A star is born, passato al Festival di Venezia, Fuori Concorso, vi ricorderete di Bradley Cooper – nel film il chitarrista Jackson Maine – che di questo naso di Lady Gaga – nel film la cameriera/pianista/cantante acqua e sapone Ally – ne tesse le amorevole lodi, innamorandosene perdutamente come un Cyrano qualunque. La quinta versione di È nata una stella (produzione Warner) è un concentrato puro di romanticismo e dramma, parallelo e contrario percorso di ascesa e caduta del pigmalione musicale e della sua nuova casuale amata scoperta, come storica trama un po’ trita vuole. Con un tocco però di energica delicatezza e di straziante tragicità che Cooper, qui alla sua prima regia, dona con inattesa e ammaliante magia. 

A Star is Born 2018 parte subito da una specie di soggettiva acustica di Jackson, passato familiare burrascoso, un attaccamento alla bottiglia devastante, ma anche un fascino maledetto da pop star country folk riconosciuta ovunque. Su un palco, di fronte a migliaia di persone adoranti e vocianti, il suono che prepara l’entrata in scena di Jackson è altissimo, gonfio di casse, bassi e corde, acuto fino allo scoppiare dei timpani. Il punto di vista è da sopra il palco. La dimensione del live, realmente suonata di fronte a un vero pubblico (festival di Coachella e Glanstonbury, tra gli altri) sia da Lady Gaga ovviamente, ma anche dall’ottimo autodidatta Cooper, è e rimane per l’intero film lo spazio in cui agisce e si compie una delle love story hollywoodiane più toccanti del nuovo secolo. Già perché l’approccio di Jackson a Ally, quando lei dismette i panni della cameriera e canta La vie en rose in un locale di drag queen, dove lui capita soltanto per seguire l’odore di gin e whisky, è qualcosa di incredibilmente tenero ed elettrizzante, costruito on stage, senza mai un’inquadratura dalla platea.

L’uomo di successo, malinconico e consumato, osannato dai fan, ma fragile e psicologicamente al limite, raccoglie e fa sbocciare un fiore di virtuosismo canoro ed estetico, innamorandosene, ricambiato, ma perdendo semplicemente il bandolo della matassa showbiz. Una notte di carezze e complimenti sussurrati non bastano. Dopo averne intuito su un marciapiede le potenzialità grezze di composizione ed esecuzione, Jackson invita Ally al concerto del giorno dopo. Letteralmente la obbliga ad andare, nonostante il suo rifiuto, con tanto di autista stalker che l’accompagna, fino a quando, la presenza tra le quinte della ragazza timida diventa azione, canto, esplosione di talento. Lei diventerà velocemente una star di un pop meno autoriale e più coreografico, ballerini, tutine dorate, capelli biondo platino. Qualcuno dirà: Ally si trasforma nella vera Lady Gaga che tutti conosciamo, chissà che sforzo. Vero, ma dall’altra parte, è nel declino secco e repentino di Jackson/Cooper che È nata una stella diventa tragedia per un cinema commerciale di gran classe.

L’attore, capelli e barba lunga, cappello cowboy, caracolla strafatto e sbronzo, senza però perdere la sua integrità umana e morale, continua a fare a botte con il fardello di un passato incancellabile, lascia la scena, mentre lei raggiunge il top dei Grammy e della fama mondiale. Riattualizzato all’oggi, il plot di George Cukor – A che prezzo Hollywood?, 1932 – mantiene i connotati della metafora originaria, quella sulla macchina tritatutto del potere spettacolare dell’industria del mito, ma collocando il racconto interamente nell’ambito musicale (come nella versione Streisand/Kristofferson del 1976) sembra come liberarsi di un fardello bolso e risaputo per consegnarsi al filone più coinvolgente e palpitante della grande storia d’amore. I testi dei brani risuonano limpidi nell’orecchio dello spettatore, il palpitare della anime in scena scorre fluido, per una prova d’attori impressionante (le nomination agli Oscar arriveranno presto) quasi che realmente Cooper e Stefani Joanne Angelina Germanotta fossero diventati una vera coppia anche nella vita. L’arrivo al Lido mentre i due si tengono per mano, quegli sguardi languidi e fissi che si scambiano mentre uno parla e l’altra ascolta durante la conferenza stampa del film, danno infine adito alle più rosee speculazioni.

È una storia che resiste nel tempo. Toccherà il cuore delle persone in tutto il mondo. È valsa la pena di fare questo film”, ha spiegato alla stampa Lady Gaga, avvolta in un elegantissimo vestito bianco panna. “Anch’io quando a 19 anni ho iniziato la mia carriera portavo con me il mio pianoforte ovunque. Ero esigente e ho detto molti “no”. Durante le audizioni non era la ragazza più bella nella stanza e molti produttori volevano rubarmi le mie canzoni e farle cantare a quelle più carine. Ovviamente non gliel’ho permesso”. “La prima volta che ci siamo incontrati per parlare del film le ho subito dato in mano i prodotti per struccarsi: non volevo alcun trucco sul suo viso”, ha affermato dolcemente il regista/attore Bradley Cooper. “Avere Lady Gaga su un palco a cantare con te, anche se tu interpreti la parte del cantante d’esperienza e lei quello dalla principiante, è davvero incredibile. Lei con me è stata affettuosa, calda, mi ha messo sempre a mio agio”. Infine per i fan più accaniti della cantante, nel film per una frazione di secondo c’è anche un nudo full frontal di Lady Gaga fuori dalla vasca da bagno.