A dieci anni dal crollo della Lehman Brother, i segnali di pericoli imminenti sui mercati finanziari continuano a essere ignorati. Prendiamo il caso dell’Italia. Basta fare due conti per rendersi conto che le cose vanno molto peggio di pochi anni fa, quando l’Europa è stata travolta dalla crisi del debito sovrano. Allora ci salvò Mario Draghi con un escamotage monetario, de facto la Bce si mise a stampare euro per acquistare obbligazioni di Paesi come il nostro con le quali si pagarono gli interessi sul debito complessivo. Il prezzo fu una sorta di commissariamento soft, al governo andarono tecnici e individui che piacevano a Bruxelles, una sorta di vicari dell’Ue. Risultato? Lo spread è sceso ma la crescita non si è mai materializzata. Segno evidente che le politiche fino a ora seguite sono sbagliate.

La scorsa primavera, i due partiti della coalizione, il Movimento a 5 stelle e la Lega, hanno fatto tre promesse elettorali espansive, e cioè che rivoluzionano le politiche di austerità fino a ora applicate: reddito di cittadinanza; flat tax e abolizione della legge Fornero sulle pensioni, voluta da Bruxelles nel 2011. La presentazione dei progetti di legge è prevista per ottobre, quando il Parlamento voterà la finanziaria per il 2019. In Europa nessuno vede di buon occhio tali riforme per un semplice motivo: l’Italia non se le può permettere. Ed è vero perché a impedirglielo sono i vincoli dell’Unione Europea e dell’euro.

La flat tax costerà circa 50 miliardi di euro, il reddito di cittadinanza 17 miliardi, mentre per la riduzione della soglia pensionistica ci vogliono 8 miliardi. Aggiungendo altre manovre espansive minori, tra cui non aumentare l’Iva dal 22 al 24,2 per cento – una riforma inserita nella finanziaria del 2018 – costerebbe al Paese tra 110 e 130 miliardi di euro (dal 6 al 7 per cento del Pil). Onorare queste promesse violerebbe tutte le norme interne e fiscali dell’Ue e porrebbe il debito italiano su una traiettoria insostenibile, ecco il commento di Bruxelles. In Europa molti sono convinti che Roma è la seconda Atene, sarà costretta a chiedere di essere salvata attraverso il meccanismo europeo di stabilità, che de facto subordinerà le politiche del suo governo all’approvazione della Troika, cioè la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale.

Poco importa che la politica di austerità imposta in modo soft dal 2011 non abbia dato buoni frutti, né che l’ingresso nell’euro non abbia aiutato la nostra economia a crescere. All’inizio degli anni Novanta, l’economia italiana aveva le stesse dimensioni di quella del Regno Unito, oggi è inferiore del 26 per cento, un quarto più piccola, insomma, e il Pil italiano è ancora del 10% inferiore a quello del 2008, prima del grande crollo. La disoccupazione rimane sopra il 10% e la disoccupazione giovanile supera il 30%. Circa 2 milioni di giovani – la maggior parte di loro qualificati e istruiti – hanno lasciato il Paese durante l’ultimo decennio per cercare fortuna altrove.

Paradossalmente, di fronte a questi indicatori, non si può negare che l’Italia abbia bisogno di un sano livello di immigrazione per sopravvivere. I dati Istat ci dicono che l’anno scorso sono morti 664.000 italiani, mentre sono nati solo 464.000 bambini italiani – 100.000 di questi erano di coppie miste, con un genitore italiano e uno straniero. Per mantenere la popolazione intorno ai 60 milioni e avere abbastanza lavoratori per mantenere il suo sistema pensionistico, l’Italia dovrà aggiungere stranieri alla sua popolazione, ecco in sintesi il messaggio di Boeri, a capo dell’Inps, al governo.

Il quadro non è dei migliori, insomma. Tuttavia non è la prima volta che l’Italia si trova in una situazione tanto critica. Allora perché dobbiamo preoccuparci di una possibile crisi? Venerdì l’agenzia di rating Fitch ha declassato le previsioni a breve periodo per l’Italia, si teme una crisi politica in autunno, crisi legata al fatto che le riforme promesse non potranno essere attuate a causa dell’opposizione di Bruxelles e dei mercati. In altre parole l’Italia non riuscirà a piazzare il proprio debito sui mercati a interessi accettabili. E dato che l’attuale governo ha più volte minacciato di infischiarsene si prevede una crisi di fiducia epica simile a quella sofferta dalla Grecia.

Succederà? Tutto dipende da come lo scontro politico tra i populisti italiani e gli euro-burocrati si svilupperà. Le premesse sono abbastanza negative, con Macron e Salvini che si insultano a vicenda e con la Merkel che rimane chiusa in un silenzio enigmatico. Certo è che se il governo si piega, alle prossime elezioni i due partiti della coalizione potrebbero scomparire, se non si piega, come molti pensano, bisognerà tirare la cinta e aggiungere non uno ma tanti nuovi buchi.

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