Il mondo del vino saluta uno dei produttori più amati di Barolo, voce critica e costruttiva per un intero territorio, le Langhe, che ha contribuito a rendere grande con il suo lavoro e la sua passione: se n’è andato, dopo una dura malattia, Beppe Rinaldi, alla soglia dei 70 anni, spentosi ieri sera nella sua casa-cantina, nelle campagne di Barolo, in provincia di Cuneo. La sua azienda, sulla strada di langa che da Barolo porta a Monforte d’Alba, è nata nel 1980, ma la famiglia di Rinaldi è nel vino dall’Ottocento. Tra gli storici vigneti dell’azienda Brunate, Le Coste, Cannubi-San Lorenzo e Ravera (da vigneti in Novello). Oltre al Barolo, il 60% delle bottiglie, Dolcetto d’Alba, Langhe Freisa, Barbera d’Alba, Ruchè.
Soprannominato, non a caso, “Citrico”, per la schiettezza delle sue idee, Rinaldi ha innalzato spesso il discorso sul Barolo ad un livello più alto di quello prettamente enoico, potremmo dire filosofico. Tra i temi da lui sollevati, aveva fatto discutere la sua battaglia contro l’eccessiva espansione dei vigneti nelle Langhe. Malato da qualche mese, Beppe Rinaldi lascia la moglie Annalisa, e le figlie Marta e Carlotta. Beppe Rinaldi faceva parte del consorzio ViniVeri, la cui bandiera è “un vino in assenza di accelerazioni e stabilizzazioni, recuperando il miglior equilibrio tra l’azione dell’uomo ed i cicli della natura”. E oggi gli “amici vignaioli” piangono il produttore di Barolo, che, “ricco di conoscenze, si è speso senza risparmio a difesa dei lavori umani e per la salvaguardia del territorio, gridando allarmi e ponendo all’attenzione mediatica questioni scomode e delicate, ma vere e autentiche”.
Proprio a pochi mesi dal riconoscimento delle Langhe (insieme a Roero e Monferrato), come Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, arrivò da Rinaldi un monito che riecheggia ancora oggi: “mi auguro che nasca una sensibilità di tutela maggiore su queste colline, richieste ed ambite da tutto il mondo, che dovrebbero avere in ambito locale più persone, amministratori, noi stessi, più attenti a non ferirle”.