La capitale nel caos. Truppe ribelli vicine a Khalifa Haftar, capo delle milizie di Tobruk, stringono lo spazio di Fayez Al Sarraj che ha proclamato lo stato d'emergenza. Si combatte nell'area di Abu Salim e secondi fonti della sicurezza i miliziani sono ormai vicini al centro della città. Il vicepremier contro Parigi: "Ha fatto guerre che non andavano fatte e indice elezioni senza sentire gli alleati". Gli alleati Fico e Trenta concordano
Tripoli è di nuovo nel caos, dopo l’ondata di violenza che nel 2014 causò decine di morti. Le truppe ribelli della “Settima Brigata” legate al generale Haftar hanno lanciato un attacco alla capitale della Libia dove il consiglio presidenziale guidato da Fayez al Sarraj, sostenuto dall’Onu, è stato costretto alle misure di emergenza. Una settimana di combattimenti che è costata la vita, secondo il Corriere della Sera, ad almeno 200 persone. Il ministero della Salute libico parla invece di 47 morti e 129 feriti. Parte del personale italiano ha lasciato l’ambasciata, sfiorata sabato da un colpo di mortaio, mentre la missione dell’Onu in Libia (Unsmil) ha invitato le parti del conflitto “a un incontro allargato per martedì a mezzogiorno in un luogo che verrà annunciato in seguito”.
“Violenti scontri fra la Settima Brigata e la sicurezza centrale” interessano l’area Abu Salim, riferisce un tweet dell’emittente Al Ahrar citando una fonte della sicurezza e riferendosi alla milizia ribelle che sta attaccando Tripoli e a una (detta Ghenewa) che la sta affrontando in una zona a meno di 6 km in linea d’aria da Piazza dei Martiri, il centro della capitale. Un totale di 1.852 famiglie sono state trasferite verso altre aree più sicure a partire dall’inizio delle ostilità, il 27 agosto. Il governo parla di “attentato alla sicurezza della capitale e dei suoi abitanti, davanti ai quali non si può restare in silenzio”.
L’obiettivo dei miliziani – secondo il consiglio presidenziale – “è quello di interrompere il processo pacifico di transizione politica” cancellando “gli sforzi nazionali e internazionali per arrivare alla stabilizzazione del Paese”. Circa 400 detenuti sono fuggiti da un carcere ad Ain Zara, approfittando della confusione, semplicemente forzando le porte. Molti dei detenuti del carcere di Ain Zara sarebbero sostenitori dell’ex leader libico Muammar Gheddafi, condannati per le violenze durante la rivolta del 2011.
Una situazione che si riverbera direttamente sull’Italia, che del governo Sarraj è sponsor fin dall’inizio. Matteo Salvini punta il dito contro la Francia, che appoggia apertamente il generale Haftar. “Escludo interventi militari che non risolvono nulla. E questo dovrebbero capirlo anche altri”, ha detto il vicepremier lasciando Palazzo Chigi. “L’Italia – ha aggiunto – deve essere la protagonista della pacificazione in Libia. Le incursioni di altri che hanno altri interessi non devono prevalere sul bene comune che è la pace”.
“Chiedetelo a Parigi”, ha risposto quindi Salvini ai cronisti che gli chiedevano se avesse cambiato idea sul fatto che la Libia potesse essere un “porto sicuro” per i migranti. “Sono preoccupato – ha spiegato il ministro dell’Interno – penso che dietro ci sia qualcuno. Qualcuno che ha fatto una guerra che non si doveva fare, che convoca elezioni senza sentire gli alleati e le fazioni locali, qualcuno che è andato a fare forzature, a esportare la democrazia, cose che non funzionano mai. Spero che il cessate il fuoco arrivi subito”. Il riferimento, assai poco velato, è all’atteggiamento tenuto nel corso degli anni da Parigi sullo scenario libico: dall’intervento militare del 2011 contro Gheddafi condotto dall’ex presidente François Sarkozy alle due conferenze organizzate a Parigi da Emmanuel Macron con Sarraj e Haftar il 25 luglio 2017 e il 29 maggio 2018, giorno in cui i tre annunciarono la convocazione delle elezioni legislative per il 10 dicembre.
Un giudizio, quello sull’operato di Parigi, che trova concorde l’alleato di governo Roberto Fico: “Sulla Libia sono molto preoccupato – ha detto il presidente della Camera a margine della Festa del Pd di Ravenna – perché c’è una tensione enorme ed è qualcosa di cui l’Europa si deve fare carico assolutamente. Ed è un problema grave che ci ha lasciato senza dubbio la Francia”. Bisogna “lavorare tutti nella stessa direzione, vale a dire per la cessazione delle ostilità”, fa eco il ministro della Difesa Elisabetta Trenta in un post su Facebook: “Il presidente Fico ha ragione: la Francia, in questo senso, ha le sue responsabilità!”, prosegue la Trenta. Quanto a un “intervento militare, non prendo minimamente in considerazione l’argomento”, aggiunge.
Il premier nel suo quartier generale – Sarraj ha passato la domenica protetto (per non dire asserragliato) nel suo quartier generale in una base navale incontrando ministri e responsabili militari, ai quali ha affidato i piani per ristabilire l’ordine. Si cerca di negoziare una nuova tregua, l’ennesima. Sarraj ha dato mandato alla milizia Forza Anti Terrorismo di Misurata, guidata dal generale Mohammed Al Zain, di entrare nella capitale per organizzare un nuovo cessate il fuoco e far terminare le violenze nella periferia sud.
Farnesina: “Ambasciata resta aperta, evacuata parte del personale” – Che la situazione di crisi come non succedeva da tempo e che la tensione sia altissima lo dimostra il fatto che parte del personale diplomatico che lavora all’ambasciata d’Italia a Tripoli è stato evacuato e sta facendo rientro in Italia. Detto con il linguaggio della Farnesina, l’ambasciata “resta operativa – spiegano fonti qualificate all’agenzia Ansa – ma con una presenza più flessibile, che si sta valutando sulla base delle esigenze e della situazione di sicurezza”. Intanto Palazzo Chigi ha smentito in una nota la notizia, apparsa su alcuni quotidiani, “la preparazione di un intervento da parte dei corpi speciali italiani in Libia”. “L’Italia – si legge – continua a seguire con attenzione l’evolversi della situazione sul terreno e ha già espresso pubblicamente preoccupazione nonché l’invito a cessare immediatamente le ostilità assieme a Stati Uniti, Francia e Regno Unito”.
Ue: “Cessate ostilità, situazione già fragile” – “Chiediamo a tutte le parti in Libia di cessare immediatamente le ostilità. Non c’é soluzione militare per la situazione in Libia, solo politica”. Così un portavoce della Commissione europea, che aggiunge: “L’escalation della violenza sta minando una situazione che è già fragile“. Inoltre, ha sottolineato che “l’Ue appoggia con forza l’inclusivo processo di mediazione delle Nazioni unite e gli sforzi del rappresentante speciale per trovare una soluzione duratura”. Per il portavoce, “l’Ue si aspetta che tutti gli attori legittimi in Libia” agiscano insieme “verso questo obiettivo, con spirito di compromesso e mettendo al primo posto gli interessi dei libici”.
I miliziani: “Continueremo a combattere” – I miliziani avevano annunciato l’imminente assalto al quartiere di Abu Salim a Tripoli, tristemente celebre perché vi sorge il carcere dove il defunto rais Muammar Gheddafi fece strage di oppositori nel 1996, quasi 1.300 i prigionieri massacrati a colpi di granate. La Brigata “continuerà a combattere fino a quando le milizie armate non lasceranno la capitale e la sicurezza sarà ripristinata”, aveva dettp il leader Abdel Rahim Al Kani. “Noi non vogliamo la distruzione, ma stiamo avanzando in nome dei cittadini che non riescono a trovare cibo e aspettano giorni in coda per avere lo stipendio, mentre i leader delle milizie si godono il denaro libico”, aveva aggiunto Kani. La Brigata ha già assunto il controllo di diversi quartieri, nei quali “i residenti erano costretti a pagare un tributo” alle milizie fedeli al governo Sarraj.
Conquistati centri strategici – Nella serata di domenica i suoi portavoce militari hanno annunciato la conquista di centri strategici lungo l’asse verso l’aeroporto, chiuso da due giorni dopo il lancio di alcuni razzi e colpi di mortaio verso lo scalo. Proprio in quest’area, stando a quanto si apprende, si sarebbero consumati “feroci combattimenti”, i miliziani di Kani affermano di aver conquistato un’accademia di polizia e una sede del ministero dell’Interno lungo la direttrice verso l’aeroporto.