Produce borse e accessori per una cooperativa che sostiene progetti a sostegno dei bambini in Africa. Rosa Bazzi lo racconta in una lettera al quotidiano Libero. Condannata all’ergastolo assieme al marito Olindo Romano per l’omicidio di Raffaella Castagna, del figlio Youssef Marzouk, della madre Paola Galli e della vicina Valeria Cherubini nel 2006 a Erba (Como), la Bazzi o non aveva mai rilasciato interviste o dichiarazioni ai giornalisti, anche quando lo scorso luglio la quinta sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa contro l’ordinanza con cui la Corte d’assise d’appello di Brescia aveva dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio presentata dalla difesa. Il sostituto pg della Cassazione Massimo Galli, invece, nella requisitoria scritta aveva chiesto l’accoglimento.
La donna, che alla lettera ha incluso il disegno di un cespuglio di rose, sostiene la propria innocenza e quella del marito. Si dice “gratificata” dal fatto che ci sia “qualcuno che si batte per la verità, a prescindere dall’esito di questa battaglia”. La donna è rinchiusa nel carcere di Bollate, dove racconta di aver avviato un’attività, “strutturata in una cooperativa sociale” con altre tre persone: producono oggetti in cuoio e pelle, come borse e accessori vari che poi vendono sul sito internet della cooperativa. Con il ricavato, riporta il quotidiano, la cooperativa sostiene dei progetti a sostegno dei bambini bisognosi in Africa.”Persino all’interno del carcere, se si hanno volontà e voglia di costruire qualcosa, esiste la possibilità di realizzarla”, conclude la donna.
La notte della strage, l’11 dicembre 2006, Mario Frigerio, marito di Valeria Cherubini, si salvò fingendosi morto: è stato il principale teste d’accusa e in aula ha indicato Olindo e Rosa come autori della strage. Nel 2017 per sette nuovi elementi per cui i coniugi Romano, attraverso i loro difensori, hanno chiesto l’incidente probatorio per l’analisi su alcuni reperti: un capello, un accendino, un mazzo di chiavi, un giubbotto, un cellulare e una macchia di sangue. I giudici di merito della Cassazione hanno però rigettato il ricorso presentato dagli avvocati Fabio Schembri, Luisa Bordeaux e Nico D’Ascola.