Matteo Salvini “perde” un reato. Trasmettendo gli atti a Palermo, infatti, la procura di Agrigento ha fatto cadere l’ipotesi di arresto illegale, prevista dall’articolo 606 del codice penale. Nel fascicolo arrivato sul tavolo del procuratore aggiunto Marzia Sabella restano quindi l’abuso d’ufficio, l’omissione di atti d’ufficio, il sequestro di persona e il sequestro di persona a scopo di coazione. Questi due ultimi reati, tra l’altro, tendono a escludersi tra loro. Le indagini sul ministro dell’Interno per il caso della Diciotti, lasciata al porto di Catania per cinque giorni con 177 migranti a bordo, infatti, potrebbero non essere finite.
Come racconta Repubblica, il ragionamento degli investigatori si gioca tutto sul filo dell’interpretazione del diritto. Le indagini spettano esclusivamente al tribunale dei ministri, al quale i pm palermitani devono consegnare il fascicolo entro quindici giorni. Prima dovranno iscrivere nel registro degli indagati il ministro dell’Interno e il suo capo di gabinetto, Matteo Piantedosi, per i reati che riterranno opportuni. Ma gli inquirenti guidati da Franco Lo Voi ragionano anche sulla competenza, ipotizzando anche un trasferimento del fascicolo a Catania. Sembrerebbe esclusa, invece, al momento l’archiviazione. Semmai, bisogna capire se al reato principale contestato a Salvini – il sequestro a scopo di coazione – non abbiano collaborato altri ministri. Secondo il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, i migranti sarebbero rimasti bloccati sul pattugliatore della Guardia Costiera per costringere l’Unione Europea a effettuare i ricollocamenti. In questo senso le dichiarazioni di altri esponenti dell’esecutivo hanno rafforzato o no il messaggio lanciato dal leader della Lega a Bruxelles? Su questo ragionano i magistrati siciliani.
Tra gli atti trasmessi a Palermo c’è una sentenza della Cedu che è intervenuta su un episodio simile. I giudici di Strasburgo tre anni anni fa hanno condannato il Governo italiano per avere trattenuto illegalmente nel centro di accoglienza di Lampedusa e poi a bordo di due navi tre tunisini. Secondo la Corte l’Italia aveva violato nel 2011, con Roberto al Viminale, i diritti di tre immigrati clandestini tunisini. I giudici di Strasburgo stabilirono che lo Stato italiano aceca sottoposto gli uomini a un trattamento degradante, prima nel centro di soccorso e prima accoglienza di Contrada Imbriacola a Lampedusa e poi sulle navi ormeggiate nel porto di Palermo e poi utilizzate per il loro rimpatrio. Ai tre uomini, fuggiti dal loro Paese dopo le rivolte della primavera araba per la Corte di Strasburgo era stata imposta una detenzione “irregolare e priva di base legale” e in violazione di numerosi articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Inoltre i motivi alla base della reclusione erano rimasti “sconosciuti” ai tre tunisini, che “non hanno potuto contestarli” in un tribunale italiano. I tunisini in questione però furono rimpatriati, mentre le persone a bordo della Diciotti sono state prese in carico in gran parte dalla Cei, e poi da Albania e Irlanda.