Quando nel marzo scorso i giornali riportarono la notizia che la sperimentazione della pistola taser sarebbe stata avviata in alcune città italiane, chiesi formalmente notizie al ministero dell’Interno della circolare che la disponeva. Una legge dello Stato nota come “Freedom of information act“, infatti, prevede ragionevolmente che il cittadino debba sempre poter avere informazioni su qualsiasi atto di ogni pubblica amministrazione. Il ministero mi rispose, altrettanto formalmente, che non poteva fornirmi alcuna risposta in quanto non di una circolare si trattava, bensì di una nota. Al di là dei miei errori terminologici, dei quali mi scuso, non mi parve una grande prova di trasparenza.
Oggi, con l’avvio concreto della sperimentazione, le cose si sono fatte più chiare e il nuovo ministro dell’Interno ha più volte espresso pubblicamente il proprio entusiasmo nei confronti del taser, enunciando da ultimo di volerlo utilizzare anche all’interno delle carceri. Vediamo dunque di cosa si tratta e cerchiamo di capire se davvero costituisca uno strumento tanto prezioso per le forze di polizia.
Il taser è una pistola elettrica capace di produrre un elettroshock e bloccare muscolarmente il soggetto colpito così da immobilizzarlo. La pistola porta la marca dell’azienda statunitense Axon, che un tempo si chiamava addirittura Taser International in relazione al proprio prodotto di punta. Ma gli Stati Uniti, si sa, non sono una Paese dove si tenda a minimizzare l’uso delle armi in generale. Prendere l’esempio americano per introdurre anche in Italia le pistole taser non è davvero una buona idea.
Cosa è infatti successo dal 2000, anno in cui le forse dell’ordine statunitense hanno cominciato a usare il taser, al 2017? Ce lo dice l’agenzia di stampa britannica Reuters, che nell’agosto 2017 ha reso pubblica un’inchiesta effettuata attraverso l’analisi di un numero elevatissimo di certificati autoptici. Quel che è emerso è che sarebbero oltre mille le persone decedute a seguito di immobilizzazione con la pistola taser. Di queste, 153 sarebbero morte per conseguenze dirette della scarica elettrica ricevuta.
Il taser, ufficialmente qualificato come dispositivo assolutamente non letale, si rivela invece mortale in più di un’occasione difficilmente prevedibile in anticipo. Lo è ad esempio per un feto custodito dal grembo materno, anche nelle prime fasi della gravidanza quando quest’ultima non è ancora immediatamente identificabile. Lo è inoltre – come certificato da vari studi scientifici – per persone che presentano precedenti problemi di tipo neurologico o cardiaco. La stessa azienda Axon ha dovuto ammettere un elemento di rischio pari allo 0,25%, dunque niente affatto trascurabile.
È ancora la Reuters a raccontarci come ben un quarto delle persone colpite da elettroshock da taser soffrisse di disturbi psichici o neurologici. Il taser sembra dunque venir utilizzato con leggerezza nei confronti di persone difficili, agitate, irrequiete, che certo avrebbero bisogno di un altro tipo di approccio da parte di forze di polizia competenti e capaci. Per non dire – e da qui molte cose si comprendono – che ben nove su dieci delle persone verso le quali il taser è stato rivolto lungo i quasi 17 anni coperti dall’indagine erano disarmate.
Cosa significa ciò? Innanzitutto che in moltissimi casi queste persone potevano essere affrontate con strumenti differenti, non a rischio di morte, senza con ciò mettere a rischio gli agenti delle forze dell’ordine. Ma, ancor più, significa che il taser viene utilizzato, nella pratica di polizia americana che adesso si vuole imitare anche in Italia, per affrontare le situazioni meno pericolose. Vale a dire: là dove prima si sparava si continuerà a sparare. Il taser non è un’alternativa innocua alla pistola a proiettile, bensì un’alternativa potenzialmente letale alle mani o agli strumenti di immobilizzazione quali le manette. Il rapinatore non verrà immobilizzato dal taser. Ciò accadrà invece alla persona con disturbi mentali che dà in escandescenze o al ragazzo che manifesta contro la Tav, giusto per fare degli esempi.
Infine, il carcere. Se mai la sperimentazione del taser dovesse allargarsi alle patrie galere, si tornerebbe indietro anni luce rispetto alla legge penitenziaria italiana del 1975 e a tutte le disposizioni internazionali che raccomandano di mettere a contatto con i detenuti esclusivamente personale disarmato. Non perché vogliano dare folli consigli e mettere a rischio l’incolumità degli agenti, ma perché chiunque conosca il carcere sa che l’ordine interno non si garantisce con la violenza ma con l’autorevolezza dell’istituzione.
Le rivolte penitenziarie sono finite negli anni 80. È stata la legge Gozzini, che ha previsto benefici penitenziari per chi sapeva rispondere alla fiducia accordata, a farle terminare, dove l’uso delle armi non faceva altro che accrescere la spirale della violenza. Pensare che per le città gireranno poliziotti armati di taser dovrebbe solo accrescere il senso di insicurezza. L’ordine pubblico non può gestirsi con l’elettroshock.
Auspichiamo comunque che nella nota ministeriale che non ci è stato permesso leggere e nelle altre disposizioni non si preveda mai l’uso del taser nei confronti di chi pacificamente manifesta le proprie opinioni. Sarebbe certo uno strumento dissuasivo nei confronti di ogni dissenso. Uno strumento, dunque, di abbassamento della democrazia.