Cinema

La strage di Utøya con gli occhi di Paul Greengrass: “Nel 2011 le frasi di Breivik fecero orrore, oggi sono mainstream”

Il regista: "Il mio non è un film sugli attacchi stessi ma soprattutto su quanto è successo dopo, ovvero su come la Norvegia ha combattuto per la democrazia diventando una fonte di ispirazione per tutti noi”

di Anna Maria Pasetti

Il cinema necessario di Paul Greengrass. Talmente urgente da rivolgersi Netflix per la più estesa visibilità possibile. Detto fatto, il suo 22 July sarà visibile sul gigante web dal 10 ottobre. Per chi non sapesse o avesse dimenticato, il titolo è omonimo alla data della strage di Utøya, l’isola norvegese che vide nel 2011 il massacro di 69 ragazzi (e diverse decine di feriti) ad opera del terrorista neonazi Anders Breivik. Un dramma frequentato dal cinema in ben due opere a distanza di pochi mesi (a Berlino concorse Utøya, 22 July del norvegese Erik Poppe) dopo l’oblio dei primi anni, forse utili alla metabolizzazione della tragedia. L’occhio action e politico del cineasta britannico era in effetti il migliore al caso, dopo la prova fornita con gli esemplari Bloody Sunday (2002) e United 93 (2006): Greengrass sceglie anche in questo caso di sottrarre dal suo film ogni orpello dedicandosi alla chiarezza dei fatti e soprattutto alle loro conseguenze. 

In gioco c’era la giustizia alle vittime e un messaggio da veicolare al mondo senza equivoci. “Il mio non è un film sugli attacchi stessi ma soprattutto su quanto è successo dopo, ovvero su come la Norvegia ha combattuto per la democrazia diventando una fonte di ispirazione per tutti noi”. Basato sul romanzo “Uno di noi” di Åsne Seierstad scritto due anni dopo la strage, 22 July dedica la sua prima parte – circa 40’ – al racconto dell’attentato includendovi la sua preparazione da parte di Breivik, per sviluppare i restanti 100’ (circa) agli effetti della tragedia sia in termini di dramma nazionale che in quelli di dramma umano/famigliare, per chiudersi in una sorta di sfida faccia-a faccia tra il carnefice e una delle sue vittime più coraggiose, il giovane Viljar Hanssen, scelto quale figura esemplare. È il ragazzo – interpretato con perfezione dall’esordiente norvegese Jonas Strand Gravli, probabile premio Mastroianni riservato ai nuovi attori in concorso – ad incarnare il Dolore a tutti i livelli, ma anche a mostrare la forza e la determinazione di saper ricominciare, letteralmente di “rimettersi in piedi” e testimoniare contro Breivik al processo.

22 July è naturalmente un’opera di denuncia a servizio della società civile lontana dalla ricerca di un linguaggio cinematografico “artistico” e ancor meno innovativo, come invece era tentato nel pianosequenza di Poppe che si concentrava unicamente sulla strage: il posizionamento in concorso alla Mostra va evidentemente interpretato per ricevere l’adeguata attenzione dei media mondiali. Greengrass ha scelto di dedicarvisi spinto dai pericoli creati dalle nuove destre populiste e nazionalistiche che stanno affermandosi in Europa. “Le minacce da destra che stanno verificandosi in Europa sono senza precedenti dalla II Guerra Mondiale. Rappresentano una minaccia alla democrazia per la cui affermazione e salvaguardia i nostri predecessori hanno combattuto. L’odio di stampo razzista, nazionalista, fascista, neonazista sta tornando e non può contenersi con le forze di polizia e la sicurezza: il problema è altrove, è alla base. Mi basta dirvi questo: nel 2011 le affermazioni di Breivik sortirono orrore, oggi sono diventate mainstream”.

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