Da oggi i poliziotti italiani potranno girare armati di pistole elettriche, previste per decreto nel 2014 ma rimaste sulla carta e sdoganate da Matteo Salvini il 4 luglio scorso, col via libera all’addestramento e alla sperimentazione. Si parte con 70 agenti in 12 città. Il debutto dello storditore a impulsi divide l’opinione pubblica. Il “modo” stesso in cui è avvenuto, conferma invece come la prima vittima d’ogni innovazione in Italia sia la trasparenza. Taser, infatti, non è la pistola elettrica ma il marchio più diffuso negli Stati Uniti, dove è stata congegnata e prodotta industrialmente dalla fine degli anni Novanta. Altre aziende propongono oggi modelli competitivi per prezzo e requisiti tecnico-operativi, ma cittadini e agenti italiani questo non lo sanno. Il Viminale s’è lanciato senza ricerca di mercato né gare. A fronte di una commessa che si annuncia milionaria nonché delicatissima, sotto vari profili. Gli stessi sindacati di Polizia, non a caso, sono passati dal plauso al monito: “Non sia l’ennesima presa in giro”.
L’arrivo degli storditori è tema sensibilissimo in Italia, dove sono ancora aperte le ferite del G8 di Genova e dei casi Uva, Cucchi, Aldrovandi. Il Testo Unico della legge di pubblica sicurezza (TULPS) li classifica tra le “armi proprie”, per Onu e Amnesty International sono “strumenti di tortura”. Lo stesso “Vademecum per operatori Taser” messo a punto dalla Polizia di Stato ricorda che il suo uso presenta “potenziali rischi per la salute dei soggetti colpiti”.
La loro introduzione avrebbe meritato dunque le maggiori cautele possibili. Negli Usa lo stesso produttore che il Ministero ritiene “esclusivo” si è ritrovato a fronteggiare un’opinione pubblica sempre più critica verso l’uso eccessivo della forza dei cops. Non a caso l’anno scorso, dopo 24 anni, Taser International ha cambiato nome e avviato la conversione in azienda tecnologica che fornisce bodycam e servizi di cloud per salvare le registrazioni, quelle che possono fare la differenza nelle controversie e aiutano a migliorare la trasparenza e la fiducia tra polizia e comunità.
A Roma, invece, la fretta potrebbe portare all’ennesimo pasticcio. Il peccato originale porta la firma di Alfano. Fu un emendamento al suo decreto per la sicurezza negli stadi del 2014 a prevedere la sperimentazione della “pistola elettrica Taser”. Indicando così, per legge, la marca in luogo del prodotto. Equivoco rimediabile, qualora si facesse un bando dopo la sperimentazione, ma in cui cade ancora oggi il Dipartimento di pubblica sicurezza che l’ha gestita. In una nota al Fatto ribadisce infatti come i primi 35 dispositivi siano stati “forniti gratuitamente dalla ditta Axon, unica produttrice del dispositivo”. “L’acquisizione della dotazione necessaria – si legge ancora – avverrà solo all’esito positivo della sperimentazione”, che durerà tre mesi, rinnovabile per altri tre.
E dopo che succederà? Come sarà gestito l’acquisto? Non è scontato che i produttori di Israele, Germania, Russia, Cina e Brasile – tanti ce ne sono – si rassegnino all’idea che per l’Italia esista solo Axon Enterprise Inc (ex Taser International), società quotata al Nasdaq con capitalizzazione di mercato da 4 miliardi di dollari. E che sia il suo “Taser X2″, modello datato ormai 2011, a finire direttamente nel cinturone degli agenti italiani come sembra inevitabile, visto che su questo prodotto sono state stilate a febbraio le “Linee guida tecnico operative per la sperimentazione”. Al tempo stesso sarà difficile tornare indietro. Così, tra le controindicazioni del pasticcio, si profila il rischio di una serie di cause contro lo Stato per violazione del Codice europeo degli appalti e della concorrenza.
E qui l’ulteriore appunto alla fretta: TaserX2, come gli altri modelli in commercio, ha una “scatola nera” incorporata che fornisce le registrazioni d’uso (data, ora e numero di colpi sparati). Tra gli optional c’era però la possibilità di aggiungere, a ulteriore garanzia dell’agente e del cittadino, una telecamera con registrazione automatica che non oggetto di sperimentazione e non è in dotazione. Eppure è la stessa azienda ad avvertire: “Le videocamere Axon ti consentono di ricostruire quanto accaduto e arrivare alla verità”, spiegando anche che “37 città importanti degli Stati Uniti hanno adottato le nostre videocamere e agenzie, piccole e grandi, hanno rilevato una diminuzione dell’88% dei reclami dopo aver indossato questi dispositivi”. Mai più senza. Ma non in Italia.
Il pasticcio dei Taser, a ben vedere, toglie certezze perfino agli agenti cui dovrebbe garantire una difesa. La mancanza di una procedura comparativa fa sì che nessuno possa mettere la mano sul fuoco di avere nella fondina il miglior dispositivo in circolazione. Le soluzioni dei competitor non sono state neanche esplorate, neppure quelle che (sulla carta) promettono di essere “migliorative” rispetto al Tx2 a doppia scarica, quando sul mercato – al sostanziale medesimo costo se non meno – esistono già quelli in grado di farne partire cinque consecutivi. Sembra banale, ma tra i video più cliccati da detrattori e sostenitori del Taser negli Usa ce n’è uno che mostra due agenti che scaricano le due “cartucce” e, non avendo altro, finiscono impallinati dall’aggressore. Prezzo? Quella a cinque colpi, stando al listino, viene proposta a 1099 dollari contro i 1399 di listino del Taser, per grandi forniture si parla di 500-700 euro, grossomodo la stessa cifra. A conti fatti, forse, non stiamo facendo proprio un affare.
Gli stessi sindacati di polizia iniziano ad avere qualche dubbio. Su tutto, temono però a temere che tutto si esaurisca con gli annunci. Vuoi per il rischio di ricorsi in caso di mancata gara, vuoi per i numeri modesti del debutto senza garanzie su future dotazioni, temono che tutto si esaurisca con gli annunci. “Come in passato – avverte il segretario generale del Sap, Stefano Paoloni – resta il dubbio che tutto possa naufragare: è avvenuto per i fucili calibro 12 Benelli, i tablet, il sistema di geolocalizzazione Mercurio, le divise operative, le telecamere ancora in fase sperimentale dopo tre anni e lo spray “piccante” che è stato inserito tra le dotazioni e non più fornito”.
C’è un argine al pasticcio dei Taser? “Si, basta fare una vera gara come prevede la legge”, risponde il licenziatario di un marchio diffuso in Paesi dove i produttori sono messi in concorrenza. “Si fa un requisito operativo e si indicano caratteristiche ed esigenze di impiego, lo si pubblica invitando tutti i produttori a presentare soluzioni e offerte economiche, compreso il piano per la sperimentazione e il programma di addestramento, con relativi costi. Poi l’amministrazione procede alla gara comparativa. Solo così è in grado di dimostrare d’aver compiuto la scelta migliore”. Ma il Ministero dell’Interno ha scelto “a occhi chiusi”, con una procedura diretta “palesemente illegale e rispondente a logiche opache”. Non è una novità. Giusto l’anno scorso Anac ha richiamato il Viminale per aver seguito procedure poco chiare nell’acquisto di divise, giubbetti antiproiettile e fondine. In questo caso, le gare sono un miraggio. E alla tirata d’orecchie potrebbe seguire la scossa.