Forse se l’avessero fatto prima non ci sarebbe stata l’inchiesta sulla cosiddettà “cupola degli appalti“di Expo. Di sicuro se lo faranno personaggi come Enrico Maltauro non potranno più partecipare ad alcuna gara pubblica. Sarà uno degli effetti del nuovo disegno di legge Anticorruzione, che contiene al suo interno il cosiddetto Daspo per i tangentisti. Una misura che in pratica estende l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici anche a corrotti e corruttori. Tradotto: l’imprenditore che è stato condannato a una pena superiore ai due anni per tutta una serie di reati contro la pubblica amministrazione: si va dalla malversazione aggravata al danno patrimoniale al traffico di influenze illecite fino ovviamente alle fattispecie che sanzionano la corruzione. Reato per il quale l’imprenditore vicentino è finito sotto processo più volte.
La prima condanna è del 1994: patteggia undici mesi con i pm di Mani Pulite per le mazzette versate negli appalti dell’aeroporto di Malpensa. Una pena inferiore a due anni e che quindi non gli sarebbe valsa la radiazione in perpetuo dai pubblici uffici prevista dalla riforma. Il suo nome, però, con una interdizione temporanea sarebbe forse stato cerchiato in rosso quando a Milano si è aperta un’altra stagione delle vacche grasse: quella degli appalti Expo. Che furono influenzati da una sorta di “cupola politica“ scoperta dalla procura di Milano nel 2014. Chi erano i tangentisti che puntavano a spartirsi le gare a Milano nel 2015? Gli stessi che lo facevano nei primi anni ’90: l’ex cassiere del Pci Primo Greganti – il compagno G che mai tradì Botteghe Oscure – e l’ex parlamentare della Dc Gianstefano Frigerio. E poi appunto il patron del gruppo Maltauro. “Durante una riunione tra il top manager dell’Esposizione Angelo Paris e il gran mediatore Gianstefano Frigerio è stata anche affrontata la questione: dì a Enrico però di rispettare le regole sull’antimafia eh… perché ha fatto entrare due, tre aziende…”, ricostruivano gli investigatori in un’informativa pubblicata dal settimanale Espresso. Per questa vicenda Maltauro ha collezionato un altro patteggiamento, questa volta più pesante: due anni e dieci mesi di carcere. Abbastanza per meritare il Daspo dagli appalti pubblici se fosse in vigore la nuova legge.
Si sarebbe salvato dall’eterna radiazione, invece, Paolo Scaroni, attuale presidente del Milan che da vicepresidente della Techint aveva patteggiato un anno e quattro mesi di reclusione per le tangenti pagate negli appalti Enel. Una pena inferiore ai due anni e dunque – se fosse stato in vigore il ddl Anticorruzione – Scaroni sarebbe rimasto lontano dalla vita pubblica solo per cinque anni (con l’ordinamento vigente è il massimo). Chissà se successivamente lo avrebbero scelto comunque per guidare un colosso come l’Eni. Lo stesso interrogativo può essere sollevato per Cesare Romiti che nel 2000 venne condannato in via definitiva a undici mesi e dieci giorni di reclusione per finanziamento illecito dei partiti e frode fiscale. Con un’interdizione – seppur ristretta a cinque anni – Romiti avrebbe potuto comunque guidare Gemina (all’epoca controllante di Rcs) e Impregilo, che vive notoriamente di appalti pubblici?
Lo stesso settore in cui è specializzato Bruno Binasco, arrestato sei volte in un anno durante Tangentopoli. Morto suicida alcuni mesi fa, Binasco era lo storico braccio destro di Marcellino Gavio, il signore delle autostrade, il principe delle Grandi opere e dell’Alta velocità. Accusato di corruzione per una serie infinita di mazzette, Binasco si presenta il 15 settembre del 1993 davanti ad Antonio Di Pietro e ammette le accuse. Racconta di aver versato bustarelle a Frigerio e Greganti, i due che anni dopo verranno coinvolti nell’inchiesta su Expo. Solo che nonostante le ammissioni, Binasco si salva: colleziona prescrizioni e assoluzioni. E torna in campo come presidente di Igli (gruppo Gavio) che controlla per anni il 29% di Impregilo. Viene assolto anche nell’inchiesta sul sistema Sesto insieme Filippo Penati e continua a collezionare appalti, influenza, potere.
Non farebbe più affari con la pubblica amministrazione, invece, Stefano Ricucci, l’imprenditore simbolo dei cosiddetti “furbetti del quartierino“: a maggio del 2008 ha patteggiato tre anni per corruzione, aggiotaggio, falso e appropriazione indebita. Sembrava uscito di scena ma era tornato a fare affari: nel marzo scorso è finito nuovamente agli arresti per per corruzione in atti giudiziari: è accusato di avere girato una mazzetta a un giudice per avere una sentenza fiscale favorevole a una sua azienda. Rimarranno fuori dagli uffici pubblici due imprenditori noti alle cronache giudiziarie come Riccardo Fusi e Francesco De Vito Piscicelli: il primo è uno storico amico di Denis Verdini ed ex presidente della Btp. Il secondo, invece, è noto soprattutto perché intercettato rise nel letto la notte del terremoto dell’Aquila pensando agli appalti per la ricostruzione. Nel febbraio del 2016 sono stati entrambi condannati in via definitiva a pene superiori ai due anni per corruzione aggravata: sarebbero fuori per sempre dai rapporti con la pubblica amministrazione. Ristretta a cinque anni sarebbe invece l’inattività di Ettore Morace, l’imprenditore al centro dell’inchiesta Mare nostrum, che a luglio ha patteggiato una pena a un anno e mezzo. Problema: Morace è il patron della Liberty Lines, società di navigazione che vive soprattutto degli appalti per il collegamento della Sicilia con le isole minori. O cambia lavoro lui o il governo – prima di approvare il ddl Anticorruzione – trova un altro modo per andare a Favignana.
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