Nella sua logica essenziale, il pensiero unico corrisponde alla sovrastruttura ideologica compatta, unitaria e priva di antagonisti politici e culturali propria della struttura del fanatismo economico-finanziario globale quale si è venuto strutturando dopo l’ingloriosa fine del comunismo storico novecentesco; il quale, se non altro, permise ad alcune generazioni di nascere, vivere e morire senza sperimentare il capitale come forma di vita, come regime di storicità e come ordine del discorso.

Il pensiero unico non è se non l’ordine simbolico coerente con il nuovo ordo oeconomicus rifeudalizzato, la sovrastruttura ideologica della struttura classista capitalistica divenuta mercato unico globale senza confini. L’omologazione economicamente diseguale della mondializzazione capitalistica si presenta così, in ambito culturale e sovrastrutturale, nella forma dell’ordine simbolico dominante del pensiero unico politicamente corretto, sistema superstizioso e imperfettamente laicizzato di interdizioni e di sanzioni atto a neutralizzare ogni idea, ogni orientamento, ogni prospettiva, ogni anelito non allineato con la struttura realmente data e concretamente asimmetrica del mondo.

Da un diverso angolo prospettico, esso coincide con l’ordine simbolico che glorifica i rapporti di forza esistenti, la logica illogica di un sistema che orbita intorno all’obiettivo della crescita illimitata, alle disuguaglianze classiste sempre più radicali, alla neutralizzazione della possibilità di dissentire rispetto a questa follia difesa con metodo dal Deus mortalis del mercato globale.
Il pensiero unico è la sovrastruttura che promuove l’ordine del dominio dell’élite mondialista contrabbandandolo come naturale, irreversibile e tale da promuovere l’interesse generale dell’umanità: è “unico” perché, come si diceva, è introiettato e metabolizzato anche dal Servo precarizzato, che ha fatto sua la visione del suo tradizionale avversario. Il dualismo conflittuale delle prospettive e delle grammatiche è spodestato dal monopolarismo simbolico promuovente l’occidentalismo a guida statunitense e, insieme, la permanente subordinazione del Servo precarizzato.
Se davvero siamo entrati nell’era della “fine delle ideologie”, come la qualificava Raymond Aron, ciò non dipende tanto dall’esaurirsi di visioni del mondo solide e compatte, quanto piuttosto dal sopravvivere di un’unica ideologia al singolare, quella del pensiero unico neoliberista che sempre santifica l’ordine esistente e liquida come “ideologica” (totalitaria, fascista, comunista e rossobruna) ogni visione disomogenea e potenzialmente antagonistica rispetto ad esso.

Il fatto che, dopo il 1989, sia rimasto in vita un unico modello socio-politico, ha determinato il conseguente sopravvivere di un unico pensiero, di un’unica formazione ideologica, che si presenta come naturale ed eterna, come giusta e intrascendibile, cancellando – secondo la cifra di ogni ideologia – la propria genesi storica e sociale.

Per la prima volta, le mappe concettuali dei dominati coincidono con quelle elaborate dai dominanti. Impiegando la sintassi gramsciana, se nella fase dialettica il Servo era dominato ma non subalterno, nella fase assoluta è sia dominato, sia subalterno. Subisce un asservimento che è, insieme, strutturale e sovrastrutturale, materiale e ideologico.

Perché potesse compiersi questo processo di manipolazione e di controllo delle coscienze, teso a fare sì che il Servo amasse la propria schiavitù, occorreva procedere preventivamente alla lobotomizzazione delle masse; espressione con la quale alludiamo alla dinamica di normalizzazione del dissenso e di anestetizzazione della coscienza oppositiva che ha portato il Servo a orientarsi sempre solo secondo gli schemi dell’ordine simbolico dominante e, di conseguenza, ad abbandonare ogni prospettiva autenticamente e operativamente antagonistica. Più che di generica “lobotomizzazione” si potrebbe, forse, più propriamente parlare, con un neologismo euristico, di “logotomizzazione”, a segnalare come le nuove plebi subalterne siano state progressivamente private del logos come capacità di pensare, di comunicare e di misurare.

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