Adulti che si comportano male
Christine Lagarde arrivò all’Eurogruppo del 18 giugno furiosa. Alla riunione dei nostri parlamentari del 16 giugno, quando io ero rimasto seduto sul pavimento, Alexis aveva sostenuto che il FMI aveva “responsabilità criminali” per la situazione in Grecia. “Salve, il capo dei criminali è qui,” mi salutò sarcastica Christine. La mia espressione sembrò calmarla: “Lo so che non sei responsabile,” disse gentilmente.
La gazzarra contro di noi fu guidata da Mario Draghi. Più che un discorso il suo fu una recita dei milioni di euro che i correntisti greci avevano prelevato dai loro depositi bancari nella settimana appena trascorsa, “lunedì 358 milioni, martedì 563 milioni, mercoledì 856 milioni, giovedì 1080 milioni.”
Luis de Guindos poi chiese: “Apriranno le banche domani?”
La risposta venne da Benoît Cœuré, il vice di Draghi: “Sì domani apriranno, ma lunedì?”
Nulla può accelerare l’assalto alle banche in modo più efficace del banchiere centrale che elenca i prelievi e del suo vice che dichiara che non interverranno subito ma forse fra tre giorni.
Mesi dopo una voce anonima interna alla BCE fece sapere che il 18 giugno, lo stesso giorno della riunione all’Eurogruppo, Mario Draghi aveva chiesto un parere indipendente a uno studio legale esterno alla BCE. La domanda che aveva fatto era se fosse legittima la chiusura delle banche greche. La BCE ha un suo grosso ufficio legale interno, competente e costoso. Il fatto che Mario abbia scelto di scavalcarlo e di rivolgersi a uno studio privato lascia pensare a qualche incertezza su quello che stava per fare – chiudere le banche greche.
I lacchè di Wolfgang nell’Eurogruppo intanto sparavano a zero, questa volta non contro la Grecia ma contro la troika – perché era stata troppo indulgente con noi. Il ministro delle finanze sloveno attaccò Lagarde e Moscovici perché avevano ammorbidito il MoU originale, una critica che Christine e Pierre di certo apprezzarono come prova della loro imparzialità nei nostri confronti. Wolfgang poi riattaccò con uno dei suoi argomenti preferiti, chiedendo che nessuno gli mandasse emendamenti scritti al MoU, perché questo lo avrebbe obbligato a sottoporli al Bundestag.
Quando venne il mio turno, oltre alla solita revisione di tutti i problemi più scottanti – riforme, conversioni del debito, necessità di obiettivi credibili, un piano per la gestione degli investimenti e dei crediti deteriorati, i motivi per i quali le proposte sul PowerPoint delle istituzioni erano prive di fondamento finanziario, economico e politico – feci una nuova proposta. “Invece di bisticciare sui dettagli delle aliquote scali sulla base di una modellazione inaffidabile,” dissi, “perché non affrontare una riforma più profonda, completa e permanente? Un freno automatico del deficit regolato per legge e monitorato da un consiglio fiscale, già concordato con le istituzioni […] Consideratela una proposta impegnativa che il nostro governo implementerà immediatamente una volta concordata.”
Se avessero avuto anche un minimo interesse a raggiungere un accordo con noi, avrebbero dovuto accettare questa proposta di corsa. Michel Sapin intervenne con commenti incoraggianti. “Le istituzioni devono prendere in seria considerazione la proposta di Yanis. Su questo Yanis ha ragione. Ha ragione anche sugli investimenti […] Gli esperti non possono risolvere tutto. L’Eurogruppo è una sede politica. Dovrebbe dare il suo contributo politico – anche se il problema viene rimesso a livelli politici superiori.” Ma da tutti gli altri ebbi solo il trattamento stile “inno nazionale svedese”.
Quando nel seguito della riunione espressi il mio stupore per il fatto che una proposta di quella portata fosse stata ignorata, Jeroen troncò il dibattito con solenne autorità: “Tutte le nuove proposte portate oggi devono essere analizzate dalle istituzioni. Non è compito dell’Eurogruppo valutarle.” In seguito la mia proposta per il “freno sul deficit” venne lasciata cadere da Chouliarakis e Sagias per compiacere Wieser e il gruppo di lavoro dell’Eurogruppo.
Nella conferenza stampa dopo la riunione un giornalista greco chiese a Christine Lagarde se fosse soddisfatta che l’Eurogruppo avesse bocciato l’appoggio del FMI per l’allegge-rimento del debito greco. Christine volle di proposito ignorare l’aspetto sostanziale della domanda e decise invece di dare sfogo alla sua indignazione: “Allo stato attuale quello che ci manca è il dialogo; la vera emergenza è ristabilire le condizioni per un dialogo tra adulti in quella stanza.”
Aveva ragione. Avevamo bisogno di adulti all’Eurogruppo, adulti a Berlino e adulti a Palazzo Maximos. Il problema era la scarsità di adulti in tutte e tre i luoghi. La stampa però riportò le parole di Lagarde come se fossero un attacco alla mia persona, e questo consentì di completare con un altro titolo la lunga lista di epiteti che la stampa aveva usato finora per descrivermi – “adolescente”. Quando incontrai ancora Christine le dissi: “La stampa ha scritto che il tuo commento abbiamo-bisogno-di-adulti-nella-stanza si riferiva a me.”
“Sciocchezze,” rispose con cortese amicizia.
Il giorno dopo, il 19 giugno, mi arrivò un messaggio da Gesine Schwan: “Mi ha commosso il tuo intervento all’Eurogruppo.” A quel punto avevo imparato la lezione: per aggirare le distorsioni dei media e prevenire future falsificazioni dei miei interventi all’Eurogruppo mettevo tutti i miei discorsi sul mio sito web. “Gabriel e la SPD devono essere pazzi se non si rendono conto della validità della tua proposta,” mi disse. Nel mio diario scrissi: “Se anche Alexis fosse stato commosso.” Su Gabriel e la SPD, ricordando la mia cena con Jörg Asmussen e Jeromin Zettelmeyer, non proprio segreta, a Berlino in febbraio, annotai: “Non sono pazzi, solo condividono la strategia della signora Merkel per cui il problema della ristrutturazione del debito non si tocca.”
Quella sera, tornato ad Atene andai a cena con Danae e con un amico e sua moglie. Olga disse qualcosa che mi colpì: “Mi sembra che tu abbia perso questa battaglia. Da quanto mi dici Alexis vuole arrendersi. Incoraggialo a farlo con un po’ di dignità. Dica alla gente che la battaglia è persa.”
Il 20 giugno, mentre Sagias e Chouliarakis continuavano la loro comica fatica di scrivere la versione finale dello SLA per conto della troika, incontrai Alexis a Palazzo Maximos e gli diedi un consiglio che era molto diverso da quelli che avevo azzardato fino a quel momento. Gli dissi che avevo capito che aveva preso una decisione – voleva arrendersi – e anche se ero ferocemente contrario a questa scelta, come lui ben sapeva, era lui il primo ministro e toccava a lui decidere. “Ma qualunque sia la tua decisione, per carità, non ingannare la nostra gente. Non portarli nelle piazze, non accendere gli animi per poi tradirli. Ti ho sentito qualche volta parlare di referendum. Non farlo a meno che tu non voglia riprendere la nostra battaglia iniziale. Se vuoi arrenderti, arrenditi. Ma fallo in questo modo…” gli diedi una cartella con una bozza di discorso, indirizzato alla nazione, che avrebbe dovuto leggere alla televisione:
Concittadini della Grecia. Abbiamo combattuto valorosamente contro una troika di creditori corazzata. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo. Purtroppo è difficile combattere contro creditori che non vogliono la restituzione dei loro soldi. Abbiamo affrontato le più potenti istituzioni del mondo, l’oligarchia locale, forze molto superiori alla nostra. Nessuno ci ha aiutato. Alcuni, come il presidente Obama, hanno avuto parole gentili per noi. Altri, come la Cina, ci sono stati amici alleati. Ma nessuno si è fatto avanti con un aiuto concreto contro coloro che erano solo decisi a distruggerci. Non ci arrendiamo. Oggi vi dico che abbiamo deciso di vivere per combattere un’altra battaglia. Domani mattina accetterò le pretese della troika. Ma solo perché ci sono ancora molte battaglie da combattere in questa guerra. Domani, dopo che avrò ceduto alle condizioni della troika, con i miei ministri inizierò un tour in tutta Europa per raccontare ai popoli europei cosa è successo, per incoraggiarli e invitarli a una lotta comune per porre ne al disastro e per riconquistare i principi della democrazia e della tradizione europea.
Dopo averlo letto, Alexis disse, nel suo tono sconsolato ormai familiare: “Non posso dire al nostro popolo che mi arrendo.” Era chiaro il senso di quello che voleva dire: aveva deciso di arrendersi, ma non aveva il coraggio di dirlo alla gente.
Uno speciale vertice dell’eurozona era stato convocato a Bruxelles per il 22 giugno. Al consiglio dei ministri del giorno prima avevo informato i colleghi del governo che ci saremmo trovati di fronte a una scelta storica fra due opzioni. Una era arrendersi, e raccontai del discorso al paese che avevo suggerito ad Alexis. L’altra opzione era continuare a combattere. Ma se l’avessimo scelta li avvertii:
Martedì (23 giugno) la BCE tenterà di chiudere le banche e di imporre il controllo sui movimenti di capitale. Ha senso resistere solo se intendiamo reagire alla loro minaccia con una nostra minaccia: e cioè che risponderemo alla mossa aggressiva della BCE rinviando sine die il riscatto del 27 miliardi di titoli SMP del governo greco a mani della BCE e che attiveremo il sistema di pagamenti parallelo che vi avevo presentato lo scorso mese di febbraio. Se non siamo pronti a rispondere in questo modo dovremo arrenderci domani.