Perché non te lo prendi a casa tua? Ortensia Mele l’ha fatto. Ottantun anni, insegnante di arte in pensione di Roseto degli Abruzzi, ha messo a disposizione, gratis, la sua seconda casa, a Lucca, per ospitare una famiglia di siriani in fuga dalla guerra. E così ha ricevuto il premio Coraggio Morale. A idearlo è stata l’associazione inglese di veterani Monte San Martino Trust, che vuole onorare la memoria degli italiani che, con generosità e eroismo, dopo l’8 settembre 1943, aiutarono i prigionieri di guerra inglesi in fuga, sfamandoli e nascondendoli a nazisti e fascisti, a rischio della propria vita. “Dobbiamo sempre chiederci: cosa avremmo fatto noi allora? Per questo vogliamo dare un riconoscimento a chi dà l’esempio oggi. Non è un programma che guarda al passato, ma al futuro”, spiega uno dei promotori, Andrew Adams, 61 anni, figlio dell’ex ufficiale Frank Adams, morto nel 1969, che riuscì a tornare in patria sano e salvo perché tra il 1943 e il 1944 fu aiutato dagli abitanti dell’Alta Garfagnana, dopo essere fuggito da un campo di prigionia nel Parmense.

Ortensia: “L’affitto? Certo, faceva comodo, ma quei morti in mare… Per me è l’unico modo per riuscire a riposare”
Sono state diverse le segnalazioni arrivate all’associazione. Ma è stata la storia di Ortensia Mele a mettere d’accordo la commissione. Sola e senza figli, stanca di vedere in televisione i migranti annegare in mare, un anno fa Ortensia ha messo a disposizione dei rifugiati la sua seconda casa a Lucca. “Era affittata fino a poco prima – racconta a ilfatto.it – L’avevo comprata proprio per avere un reddito per integrare la pensione da insegnante, che non è un granché. Non nuoto nell’oro”. A spingerla verso questa decisione, tuttavia, sono state le immagini dei naufragi nel Mediterraneo. “Ci sono tanti di quei morti in mare – aggiunge – è una cosa così penosa, che non si può reggere. L’unico modo per riuscire a riposare è mettere una goccia nel mare. E’ solo una goccia, certo, ma il mare è fatto di gocce”. Così Ortensia si è messa in contatto con la Comunità di Sant’Egidio, che, grazie ai corridoi umanitari, ha fatto arrivare in Italia, in modo sicuro, e senza spese per lo Stato, 1800 persone, il 40 per cento dei quali bambini, in fuga da guerra e fame. Siriani, iracheni, somali, sud sudanesi ed eritrei, che hanno trovato accoglienza grazie a privati cittadini, in 17 regioni e 98 città.

Gli ospiti di Ortensia: i Krikor, in fuga da Aleppo
Una famiglia di queste è quella dei Krikor, che a casa di Ortensia ha trovato un nuovo inizio, dopo la fuga dalla Siria. Dikran, 50 anni, Linda, 38, e il loro piccolo Antranig, 10, hanno lasciato Aleppo quando una bomba ha distrutto la loro casa, dove Dikran aveva pure la sua tipografia. La fuga disperata verso il Libano, da una parente, poi l’inferno del campo profughi. Infine, ottenuto il visto umanitario, la speranza di una nuova vita: in Italia, una casa li aspettava. “Per ora ho fatto un comodato gratuito, poi si vedrà. Li ho conosciuti, mi sono grati, certo. Il bambino si è ambientato bene”, dice Ortensia, di poche parole.

Antranig sta per iniziare la quarta elementare e parla già italiano. La mamma fa le pulizie, mentre papà Dikran, che parla cinque lingue, ha abbandonato le sue litografie e ha trovato lavoro in una cooperativa di Porcari. Vicino a Lucca. In auto, però: “Ci va in bicicletta, un’ora all’andata e una al ritorno. Parte anche alle 5 di mattina” racconta Luca Andreozzi, della Comunità di Sant’Egidio di Lucca, tra i promotori del premio insieme all’Istituto Storico della Resistenza e alla Scuola della Pace, entrambi enti della Provincia. “I 2000 euro che Ortensia vincerà con il premio – continua Andreozzi – e che da bando devono essere investiti in un progetto con gli stessi valori, serviranno a comprare un motorino o un’auto per Dikran”. Così Porcari sarà davvero più vicina.

I corridoi umanitari, un’idea italiana di successo e replicabile
Come i Krikor, 1800 persone sono giunte legalmente, e in modo sicuro, in Italia, dal 2016 ad oggi, grazie ai corridoi umanitari, un’idea di Sant’Egidio, realizzata con la Tavola Valdese e le Chiese Evangeliche. “E’ un modello adottivo italiano ed è già stato replicato in Francia e Belgio – spiega Daniela Pompei, coordinatrice per Sant’Egidio dei corridoi umanitari – Si basa sulla sponsorship: si dà la possibilità a organismi della società civile, oltre che istituzionali, di patrocinare l’accoglienza dei rifugiati. A chi fosse interessato ad accoglierli, dico che non bisogna essere soli: queste persone vanno accompagnate, integrate, coinvolgendo i propri contatti, per esempio, docenti in pensione che insegnino loro l’italiano o facciano fare i compiti ai bambini. Meglio quindi se li si accoglie in gruppo”. Avere a che fare con i profughi, d’altra parte, non è sempre facile. “Gli incubi della guerra ci sono, i bambini piangono, sentono il rumore delle bombe. Non c’è da stupirsi: i bambini siriani, ad esempio, non hanno mai conosciuto la pace”. Le difficoltà ci sono, ma, rispetto ad altri, questo modello permette l’integrazione e pure la sicurezza: a partire, a bordo di aeroplani e non di barconi, sono persone già controllate dal ministero, che hanno ottenuto il visto. “Al ministro Salvini dico che controllare il fenomeno migratorio vuol dire anche trovare vie legali di accesso. E i corridoi umanitari garantiscono sicurezza, perché tutte le persone vengono controllate prima della partenza”.

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