C’è un presidente cui i collaboratori sottraggono informazioni e di cui manipolano le istruzioni perché, lasciate libere, le sue “peggiori inclinazioni” comprometterebbero la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e quella del mondo intero. E ci sono libri di avventurieri dell’informazione come Michael Wolff (Fire and Fury), di dipendenti licenziati e rancorosi come Omarosa Manigault Newman (Unhinged, Squilibrato), ma anche di un premio Pulitzer doppio come Bob Woodward (Fear: Trump in the White House), concordi nel ricostruire scene da brivido nello Studio Ovale, senza nulla a luci rosse.
Fear, prima ancora di uscire, ha già raccolto tante di quelle smentite preventive da fare sospettare che ci sia più arrosto che fumo – presto, conteremo le dimissioni, a cominciare dal capo dello staff della Casa Bianca, il generale John Kelly: se ne andranno quelli alle cui smentite non crede neppure Trump. Woodward ha scritto libri su otto presidenti Usa, sempre con accesso alla fonte diretto: solo il magnate gliel’ha negato e ora magari se ne rammarica.
Adesso c’è un anonimo che, sul New York Times, scrive che, dentro l’Amministrazione, agisce “una resistenza silenziosa”: funzionari che remano contro Trump per salvaguardare la democrazia, tutelare la Costituzione, garantire il rispetto dei diritti. Può apparire una contraddizione – e il fatto merita certo una riflessione – perché quel presidente alla Casa Bianca l’hanno mandato gli elettori, sia pure in virtù d’una legge che pondera i voti invece di limitarsi a contarli.
Donald Trump e la Casa Bianca non si dannano a smentire i fatti, ma se la prendono col “vigliacco” che protetto dall’anonimato ha “tradito”. E il dibattito, naturalmente, contagia il web, immemore – o forse mai conscio, essendo soprattutto di ‘under 40’ – che senza una fonte anonima Carl Bernstein e Woodward non avrebbero mai condotto in porto, cioè fino alle dimissioni del presidente Nixon, l’inchiesta sullo scandalo Watergate – era l’agosto del 1974. ‘Gola profonda’, personaggio chiave di quella storia, rimase anonimo per oltre trent’anni: Bernstein e Woodward non ne tradirono mai l’identità, fin quando non fu lui, nel 2005, a uscire allo scoperto, ormai anziano – aveva 92 anni – e magari bisognoso di farsi un po’ di soldi raccontando in un libro la sua verità (morì tre anni dopo).
Does the so-called “Senior Administration Official” really exist, or is it just the Failing New York Times with another phony source? If the GUTLESS anonymous person does indeed exist, the Times must, for National Security purposes, turn him/her over to government at once!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 5 settembre 2018
Può darsi che le motivazioni di Felt, vice-direttore dell’Fbi, non fossero adamantine (una mancata promozione l’aveva ferito) nello spifferare la verità ai due cronisti del Washington Post; e che non lo fossero neppure nel venire allo scoperto tanto tempo dopo. Ma il problema non era (e non è) l’umano spessore della fonte anonima, bensì la veridicità – e la gravità – di quel che racconta.
Il magnate presidente ha la vocazione a mettersi contro la stampa: da quando s’è candidato, i media Usa più autorevoli, testate che hanno fatto e ancora fanno l’orgoglio del giornalismo internazionale, New York Times e Washington Post, la Cnn e Politico.com, per citarne alcune ad ampio spettro, hanno vanamente provato prima a fare diga alla sua candidatura e poi ad arginare la sua presidenza, che passa ogni giorno il livello di guardia della sicurezza, della democrazia, dei diritti fondamentali. Nel giro di una settimana, l’ultima, Trump è riuscito a litigare separatamente, e fragorosamente, con Bernstein e Woodward, i leggendari reporter del WP dello scandalo Watergate, i Dustin Hofmann e Robert Redford di Tutti gli uomini del presidente.
I media più attendibili, che verificano le notizie e correggono gli errori, diventano, per il presidente, ‘fake news media’: il peggiore untore di ‘fake news’ mai esistito, un “mentitore seriale” secondo chi lo conosce bene, un “uomo senza vergogna” nell’analisi a remoto di psicanalisti ‘fuori servizio’, capovolge la realtà: bolla come false informazioni certificate; e asserisce che le sue – imprecise, inesatte, raccattate da fonti non attendibili o semplicemente false – sono buone. Un fenomeno che vediamo anche in Italia.
Fortuna che il NYT non perde la calma, mentre – scrive – “Trump dà di matto per l’ira”. Il giornale ricorda che la pagina delle Opinioni ha una gestione separata da quelle delle notizie – una lezione del giornalismo anglosassone, che noi continuiamo a ignorare; e James Dao, il responsabile, dice che il materiale era abbastanza importante da valere l’anonimità dell’autore, che viene raramente concessa – autore di cui lui, ovviamente, conosce l’identità e certifica l’attendibilità, cioè che è davvero un funzionario dell’Amministrazione e che può essere a conoscenza delle cose che scrive.
Il funzionario anonimo della resistenza silenziosa sarà ‘persona dell’anno 2018’ di Time? Nel 2012, i Whistleblower del crack della Enron lo divennero.