Raymond Burke, il cardinale che insieme a tre altri porporati (Brandmueller, Caffarra e Meisner) ha firmato la lettera al Papa contenente i 4 Dubia sulla conformità di alcuni punti dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia – con la quale Francesco ha aperto alla possibilità della comunione ai divorziati risposati – non demorde: “La lettera è lì ed esige prima o poi una risposta”. Intervenendo alla commemorazione del cardinale Carlo Caffarra a un anno della sua morte, Burke è stato molto misurato ma chiaro: “La lettera è stata consegnata a chi di dovere e un’altissima personalità istituzionale vaticana ci ha detto che il Papa non avrebbe risposto”. Nella sala Nassiriya del Senato, dove durante la commemorazione sono stati presentati gli atti del convegno“Chiesa dove vai?” del 7 aprile scorso, Burke ha soggiunto: “Caffarra era profondamente triste per la mancata risposta. Come è possibile… un uomo che aveva dato tutta la sua vita alla Chiesa… sono convinto che alla fine il suo corpo non poteva sopportare il dolore!”.
La lettera sui Dubia sta lì, ma anche il memorandum dell’ex nunzio Viganò continua a pesare sulle scrivanie del Palazzo apostolico. La cura del silenzio, a cui papa Francesco ha invitato in un recente discorso a Santa Marta, non sembra risolvere i problemi. Le dichiarazioni di solidarietà al pontefice che hanno cominciato ad arrivare in Vaticano (tra cui gli interventi del cardinale Becciu, del presidente della Cei Bassetti, della conferenza episcopale dell’Emilia Romagna guidata dall’arcivescovo Matteo Zuppi e di alcune conferenze episcopali del mondo), testimoniano lo sconcerto e il disorientamento diffusi tra i fedeli.
Gridare al complotto non basta, lamentare l’attacco al pontefice non basta, coprire di insulti l’ex nunzio Carlo Maria Viganò non porta da nessuna parte. Il punto è che Viganò è stato sempre considerato un professionista serio. Come diplomatico e funzionario vaticano. Non si manda un cialtrone a fare l’ambasciatore nella prima capitale del mondo. Certamente è un avversario scatenato della linea del pontefice e spara a zero contro un gran numero di prelati accusandoli di essere gay o di essere liberali nei confronti dell’omosessualità. Questo può essere sgradevole. Ma fa parte di una lotta politica.
Il punto centrale è infatti tutto politico. Viganò ha posto sul tavolo la questione se era opportuno – stante le regole e la dottrina vaticana – portare l’allora monsignor McCarrick, seduttore seriale di seminaristi e preti maggiorenni (per abuso di posizione), a occupare la cattedra di arcivescovo di Washington, ottenendo successivamente da Giovanni Paolo II la porpora cardinalizia. In questa manovra politica si assiste per la prima volta alla saldatura della rabbia teologica degli avversari di Francesco (interni alla Chiesa) sia con l’indignazione dell’opinione pubblica per abusi e avventure sessuali di preti e prelati sia con l’ostilità che moltissimi ambienti finanziari e politici nutrono per il Papa come autorità etica sui temi sociali a livello internazionale.
Per questo l’attacco di Viganò è di straordinaria pericolosità. Nel contempo in Francia si discute del prossimo processo al cardinale di Lione, Philippe Barbarin, che si terrà in primavera. Barbarin, sia chiaro, non ha coperto il prete pedofilo Bernard Preynat, che aveva commesso abusi dal 1979 al 1991 all’epoca dei suoi predecessori. Ma è responsabile di non avere denunciato il prete alla giustizia civile – come è obbligo in Francia – lasciandolo tranquillamente al suo posto perché “pentito”.
Il silenzio di Barbarin, alla luce della solenne presa di posizione di papa Ratzinger nel 2010 quando denunciò che molti vescovi avevano preferito tutelare il prestigio della Chiesa ignorando le vittime degli abusi, ha significato precisamente negare giustizia a sessantasette vittime. Un numero di abusi riferito ad una sola persona, che fa orrore. Bernardin ha allontanato il predatore Preynat da ogni incarico soltanto nel 2015. Papa Francesco non è ancora intervenuto in attesa del processo. Il che ha suscitato proteste. Un sacerdote della diocesi, Pierre Vignon, ha lanciato un appello per le dimissioni del cardinale, che ha già raccolto oltre centomila firme.
E’ un momento molto delicato per il pontificato di Bergoglio. Sul caso Viganò va aggiunto che l’ex nunzio ha cominciato scientificamente a prendere di mira le cordate gay in Vaticano nell’intenzione di dare fuoco alle polveri costi quel che costi. Inutile dire che a stretto giro di posta hanno cominciato a circolare rivelazioni ed elenchi di personaggi coinvolti. Una lobby gay – intesa come gruppo di potere con finalità di potere – non esiste. Ma esistono, eccome, consorterie gay pronte a coprirsi a vicenda. In una rete abbastanza diffusa di “non dar fastidio a me che io non scoperchio gli affari tuoi”. Significa che chi ha una relazione clandestina etero chiude gli occhi sul collega d’ufficio che ne ha una gay e tutti e due in genere non vanno poi a cercare scheletri negli armadi di chi in passato forse ha avuto troppo a che fare con ragazzini.
Un vecchio sacerdote racconta che da giovane pretino al seguito di un cardinale vaticano gli capitò una mattina presto – prima di entrare in ufficio – di vedere un monsignore in carriera mentre in macchina, a poche centinaia di metri dal Palazzo apostolico, si cambiava rapidamente gli abiti borghesi per indossare la tonaca regolamentare. Andò dal suo superiore per sapere se dovesse segnalare il fatto a qualcuno. “Non ti immischiare”, fu la risposta.
Non ci dovremo meravigliare se altre “rivelazioni” continueranno a gocciolare dai rubinetti vaticaneschi. Ma il punto serio che rimane da chiarire è quello fondamentale su McCarrick. Mente Viganò quando parla di ben due dossier spediti dai nunzi in America ai segretari di Stato Sodano e Bertone? Basta una secca risposta vaticana per smentirlo: o i dossier sono negli archivi della Segreteria di Stato oppure non ci sono. Stare in silenzio non farà che eccitare sempre più i cacciatori di scandali. E quale selvaggina più prelibata del “gay nascosto” nel palazzo apostolico?