The game, il gioco. “È così che i trafficanti chiamano il viaggio verso l’Europa: se sei fortunato vinci e superi il confine, se sei sfortunato perdi, torni indietro e ricominci da capo”. Naheed ha 42 anni, e preferisce non mostrare il volto davanti alla telecamera perché, spiega, “i miei parenti mi hanno prestato i soldi per il viaggio e non voglio che mi vedano in queste condizioni”. Prima di scappare, lavorava come ingegnere civile in Iran, suo Paese natale. Insieme a suo marito e alla sua bambina di 1 anno, dorme sul pavimento sudicio di un ex-studentato mai completato a Bihać, città bosniaca poco distante dal confine croata: 60mila abitanti, in maggioranza musulmani, e sui palazzi ancora i fori dei proiettili a ricordarti di una guerra non così lontana. Una struttura fatiscente con il tetto sfondato, senza intonaco, né finestre, né porte, messo a disposizione dal comune per dare un minimo riparo alle centinaia di migranti fermi in Bosnia. Da alcuni mesi, infatti, Bihać è diventata crocevia della nuova rotta balcanica di coloro che arrivano dall’est e sono diretti principalmente in Italia, in Francia e in Germania.
Solo nell’ex-dormitorio, sono accampate tra le 700 e le 800 persone, tutte in attesa di tentare la traversata. Sono iraniani, pakistani, iracheni, afghani, siriani e magrebini. Uomini soli, ma anche famiglie con bambini e donne che tentano di raggiungere mariti, figli o fratelli già in Europa. Dormono in tende montate dentro e fuori dalla struttura o in materassi stesi per terra, assistiti dai volontari della Croce rossa locale che qui distribuiscono colazione, pranzo e cena. In tutta la zona del confine tra Bihać e Velika Kladusa, i profughi sono circa 4mila, distribuiti tra accampamenti e case occupate. Anche se il numero esatto è impossibile da stabilire perché non esiste alcun tipo di registrazione e perché il ricambio è altissimo: ogni giorno decine di loro intraprendono la via per l’Europa.
Un viaggio che tutti chiamano appunto “the game”. E che la maggior parte di loro percorre a piedi, camminando in mezzo ai boschi anche per 15 o 20 giorni: l’obiettivo è attraversare la Croazia, la Slovenia e arrivare infine a Trieste. Da lì poi una parte prova a raggiungere il Nord Europa. Di notte attraversano i paesini per non correre il rischio di essere visti dagli abitanti ed essere denunciati, mentre di giorno si riposano nascosti dalla vegetazione. on loro gli zaini pieni di cibo, acque e latte per chi ha con sé i propri bambini. È ammesso un solo cambio di vestiti puliti, da indossare una volta in Italia per non dare l’impressione di aver appena passato il confine: la flagranza può essere motivo di respingimento. “Prima eravamo in Serbia – racconta Naheed – da lì abbiamo tentato di raggiungere l’Europa otto volte, senza mai riuscirci. Così siamo arrivati in Bosnia e da qui, con nostra figlia, abbiamo provato ad attraversare il confine già 4 volte. Tre volte ci ha fermato la polizia croata, un’altra invece il trafficante ci ha abbandonato nella foresta”. E non c’è solo la paura di incrociare la polizia croata, ma anche quella delle mine antiuomo che questa terra conserva ancora in pancia dalla guerra balcanica. Sui bagni del campo infatti sono appese mappe tradotte in tutte le lingue, con le zone a rischio. “Noi li avvisiamo del pericolo – spiega Amira Hadzimehmedovic, responsabile per l’Oim del campo di Bihac – ma partono lo stesso”.
Anche Behnam viene dall’Iran, dove era vigile del fuoco. “Avevo problemi con il governo, per questo sono andato via. Ora vorrei solo tornare a fare il mio lavoro”. Quando lo incontriamo, è tornato da poco dal confine, dopo essere stato respinto per la 17esima volta. “Cinque giorni fa la polizia croata ci ha fermato e arrestato. Poi ci ha fatto salire in un furgone e una volta scesi gli agenti hanno cominciato a picchiarci”. Sulle gambe e sulla schiena porta ancora i segni viola dei manganelli.
In un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt, il premier croato Andrej Plenkovic ha difeso la polizia di frontiera e respinto le accuse. Eppure la testimonianza e i lividi di Behnam sono simili a quella di tanti altri profughi, che al ritorno dal “game” raccontano non solo le difficoltà del tragitto e i soprusi della polizia croata. “Guardate le braccia del mio amico, guardate i segni che gli ha lasciato i soldati” ci dice Yousaf, giovane pakistano, scappato dalle tensioni del Kashmir. Ora si trova a Velika Kladusa, altra città sulla rotta balcanica, dove è sorto un accampamento spontaneo e improvvisato in mezzo alle montagne. Manca tutto: la luce, l’acqua (portata con le taniche dai volontari dall’associazione spagnola No Name’s Kitchen) e il cibo. Da qui ogni notte famiglie o gruppi di migranti si caricano lo zaino in spalla e spariscono in mezzo agli alberi. A volte tornano, a volte no. “Quando ti ferma la polizia ti spacca i cellulari, si prende i soldi e le batterie di riserva” racconta chi è tornato. Gli agenti distruggono ogni cosa possa aiutare loro a trovare la strada giusta e sicura per l’Europa.
ha collaborato Elena Mattioli
musiche Pond5, Airtone, Komiku. Ghost
Mondo - 7 Settembre 2018
Bosnia, con i migranti che tentano la strada verso l’Europa: “A piedi nei boschi, in fuga da polizia e mine antiuomo” – Reportage
La Playlist Mondo
The game, il gioco. “È così che i trafficanti chiamano il viaggio verso l’Europa: se sei fortunato vinci e superi il confine, se sei sfortunato perdi, torni indietro e ricominci da capo”. Naheed ha 42 anni, e preferisce non mostrare il volto davanti alla telecamera perché, spiega, “i miei parenti mi hanno prestato i soldi per il viaggio e non voglio che mi vedano in queste condizioni”. Prima di scappare, lavorava come ingegnere civile in Iran, suo Paese natale. Insieme a suo marito e alla sua bambina di 1 anno, dorme sul pavimento sudicio di un ex-studentato mai completato a Bihać, città bosniaca poco distante dal confine croata: 60mila abitanti, in maggioranza musulmani, e sui palazzi ancora i fori dei proiettili a ricordarti di una guerra non così lontana. Una struttura fatiscente con il tetto sfondato, senza intonaco, né finestre, né porte, messo a disposizione dal comune per dare un minimo riparo alle centinaia di migranti fermi in Bosnia. Da alcuni mesi, infatti, Bihać è diventata crocevia della nuova rotta balcanica di coloro che arrivano dall’est e sono diretti principalmente in Italia, in Francia e in Germania.
Solo nell’ex-dormitorio, sono accampate tra le 700 e le 800 persone, tutte in attesa di tentare la traversata. Sono iraniani, pakistani, iracheni, afghani, siriani e magrebini. Uomini soli, ma anche famiglie con bambini e donne che tentano di raggiungere mariti, figli o fratelli già in Europa. Dormono in tende montate dentro e fuori dalla struttura o in materassi stesi per terra, assistiti dai volontari della Croce rossa locale che qui distribuiscono colazione, pranzo e cena. In tutta la zona del confine tra Bihać e Velika Kladusa, i profughi sono circa 4mila, distribuiti tra accampamenti e case occupate. Anche se il numero esatto è impossibile da stabilire perché non esiste alcun tipo di registrazione e perché il ricambio è altissimo: ogni giorno decine di loro intraprendono la via per l’Europa.
Un viaggio che tutti chiamano appunto “the game”. E che la maggior parte di loro percorre a piedi, camminando in mezzo ai boschi anche per 15 o 20 giorni: l’obiettivo è attraversare la Croazia, la Slovenia e arrivare infine a Trieste. Da lì poi una parte prova a raggiungere il Nord Europa. Di notte attraversano i paesini per non correre il rischio di essere visti dagli abitanti ed essere denunciati, mentre di giorno si riposano nascosti dalla vegetazione. on loro gli zaini pieni di cibo, acque e latte per chi ha con sé i propri bambini. È ammesso un solo cambio di vestiti puliti, da indossare una volta in Italia per non dare l’impressione di aver appena passato il confine: la flagranza può essere motivo di respingimento. “Prima eravamo in Serbia – racconta Naheed – da lì abbiamo tentato di raggiungere l’Europa otto volte, senza mai riuscirci. Così siamo arrivati in Bosnia e da qui, con nostra figlia, abbiamo provato ad attraversare il confine già 4 volte. Tre volte ci ha fermato la polizia croata, un’altra invece il trafficante ci ha abbandonato nella foresta”. E non c’è solo la paura di incrociare la polizia croata, ma anche quella delle mine antiuomo che questa terra conserva ancora in pancia dalla guerra balcanica. Sui bagni del campo infatti sono appese mappe tradotte in tutte le lingue, con le zone a rischio. “Noi li avvisiamo del pericolo – spiega Amira Hadzimehmedovic, responsabile per l’Oim del campo di Bihac – ma partono lo stesso”.
Anche Behnam viene dall’Iran, dove era vigile del fuoco. “Avevo problemi con il governo, per questo sono andato via. Ora vorrei solo tornare a fare il mio lavoro”. Quando lo incontriamo, è tornato da poco dal confine, dopo essere stato respinto per la 17esima volta. “Cinque giorni fa la polizia croata ci ha fermato e arrestato. Poi ci ha fatto salire in un furgone e una volta scesi gli agenti hanno cominciato a picchiarci”. Sulle gambe e sulla schiena porta ancora i segni viola dei manganelli.
In un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt, il premier croato Andrej Plenkovic ha difeso la polizia di frontiera e respinto le accuse. Eppure la testimonianza e i lividi di Behnam sono simili a quella di tanti altri profughi, che al ritorno dal “game” raccontano non solo le difficoltà del tragitto e i soprusi della polizia croata. “Guardate le braccia del mio amico, guardate i segni che gli ha lasciato i soldati” ci dice Yousaf, giovane pakistano, scappato dalle tensioni del Kashmir. Ora si trova a Velika Kladusa, altra città sulla rotta balcanica, dove è sorto un accampamento spontaneo e improvvisato in mezzo alle montagne. Manca tutto: la luce, l’acqua (portata con le taniche dai volontari dall’associazione spagnola No Name’s Kitchen) e il cibo. Da qui ogni notte famiglie o gruppi di migranti si caricano lo zaino in spalla e spariscono in mezzo agli alberi. A volte tornano, a volte no. “Quando ti ferma la polizia ti spacca i cellulari, si prende i soldi e le batterie di riserva” racconta chi è tornato. Gli agenti distruggono ogni cosa possa aiutare loro a trovare la strada giusta e sicura per l’Europa.
ha collaborato Elena Mattioli
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L’ex eurodeputata Luisa Morgantini e l’inviato del Sole Bongiorni arrestati e poi rilasciati da Israele
Milano, 30 gen. (Adnkronos) - L'orario, il luogo e un'immagine "rilevante". La consulenza dell'esperto informatico Marco Tinti, incaricato dalla procura di Milano, rafforza la credibilità di Omar T., il giovane testimone dell'incidente in cui ha perso la vita Ramy Elgaml. Davanti agli inquirenti aveva raccontato di aver assistito e registrato con il cellulare quanto accaduto, la sera del 24 novembre scorso, all'incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta dove lo scooter guidato da Fares Bouzidi, su cui viaggiava anche la vittima, si è scontrato con un'auto dei carabinieri, dopo che il T Max non si era fermato all'alt e aveva proseguito la fuga per venti minuti.
Il testimone aveva raccontato di essere stato costretto da altri due carabinieri, indagati per favoreggiamento e depistaggio, a cancellare un video. Se l'esame del cellulare, voluto dalla procura, non ha restituito nessun video di quella notte, "tuttavia, dall'analisi della timeline è emersa la presenza una miniatura, presumibilmente di un video, di possibile interesse". La miniatura è un'immagine di anteprima, di piccole dimensioni, generata automaticamente dal cellulare. Il frame mostra - confrontando anche con la geolocalizzazione del cellulare - un incrocio cittadino, probabilmente quello dove, intorno alle ore 4, avviene l'incidente mortale. "La rilevanza della miniatura è attribuibile sia alia data e all'ora dell'ultima modifica, sia agli elementi visivi che essa presenta" si legge nella relazione.
"La data di ultima modifica associata al file risale al giorno 24 novembre 2024 ore 4:05:07. Inoltre, comparando la miniatura con le immagini dell'incrocio stradale fornite da Google Streei View, è possibile affermare con un ragionevole grado di certezza come il file ritragga una strada cittadina compatibile con via Ripamonti a Milano. L'inquadratura sembra essere in direzione nord verso via Ripamonti, dall'angolo sud-est dell'incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta". Che si tratta di un fotogramma di un video, e non di una semplice foto, il consulente lo deduce dalla dimensione del file, "tipico della maggior parte dei video registrati dal dispositivo e tuttora salvati su di esso". Inoltre, dalla cronologia di navigazione web di quella sera si evidenziano ricerche ripetute su Google 'come recuperare video da cestino' a partire dalle ore 4.38.
Palermo, 30 gen. (Adnkronos) - La ragazza di 17anni accusata di avere ucciso, nel febbraio 2024, insieme con il padre e una coppia di amici dei genitori, la madre e due fratelli, "è imputabile e capace di intendere e di volere". Lo ha deciso il gip del tribunale per i minorenni Nicola Aiello in seguito alla perizia di un neuropsichiatra infantile di Roma che ha valutato la capacità della ragazza. Il gip ha disposto l'inizio della requisitoria per il prossimo 6 marzo. La giovane è imputata per omicidio plurimo aggravato e soppressione di cadavere.
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Luisa Morgantini è stata rilasciata insieme al giornalista de Il Sole 24 Ore dopo essere stati fermati in Cisgiordania dalle truppe israeliane . È una buona notizia che tuttavia non cancella la vergogna dei metodi usati contro attivisti e giornalisti stranieri dalle autorità israeliane". Lo dicono Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, di Avs, quest’ultimo ha parlato poco fa direttamente con Morgantini che insieme a Roberto Bongiorni è in attesa che le autorità israeliane liberino i due accompagnatori palestinesi ancora in stato di fermo.
"I fermi, le prevaricazioni e le infinite attese per fare qualsiasi cosa sono il loro modo di agire per scoraggiare chiunque chieda diritti per il popolo palestinese. Ringraziamo i funzionari della Farnesina e il personale diplomatico italiano in Israele che si è impegnata in tutte queste ore per il loro rilascio. Luisa non si è mai fermata - concludono - e non lo farà neanche stavolta. Nemmeno noi".
Milano, 30 gen. (Adnkronos) - In un'informativa della Guardia di finanza di Milano, tra gli atti che fanno parte del fascicolo del processo contro Chiara Ferragni - imputata per truffa continuata e aggravata in relazione alle operazioni commerciali 'Pandoro Balocco Pink Christmas, Limited Edition Chiara Ferragni' (Natale 2022) e 'Uova di Pasqua Chiara Ferragni - sosteniamo i Bambini delle Fate (Pasqua 2021 e 2022) - emergono una serie di mail in cui si evince il malumore su come il team dell'imprenditrice digitale sembra voler gestire la comunicazione sugli accordi commerciali raggiunti. In una mail dell'azienda dolciaria di Cerealitalia si evidenzia come la dicitura 'acquistate l'uovo per sostenere' sarebbe "fuorviante in quanto passerebbe l'errato concetto che acquistando l'uovo si sostiene la causa benefica", mentre in realtà il numero dei prodotti venduti nulla c'entra con la somma destinata all'ente di sostegno per bambini.
Ancora più esplicite le mail in casa Balocco dopo il contrasto con il team di Chiara Ferragni è esplicito. "Mi verrebbe da rispondere 'in realtà le vendite servono per pagare il vostro cachet esorbitante...'" scrive una dipendente all'amministratrice delegata Alessandra Balocco (indagata) che replica: "Hai perfettamente ragione. Si attribuiscono meriti che non hanno, ma il buon Dio ne terrà conto al momento opportuno". E chi cura la comunicazione mette in allarme l'azienda dolciaria di Cuneo. "Chiara Ferragni si sta prendendo tutto il bello di questa iniziativa e voi tutto il brutto. (...) Alla faccia del nuovo Natale rosa e stiloso, insomma. Fate molta attenzione".
E le paure diventano realtà quando le denunce portano all'apertura di un fascicolo in procura e alla perquisizione della Guardia di finanza nelle aziende Ferragni. Nell'informativa viene evidenziato un messaggio Whatsapp inviato al personale: "Avviso importante. Fabio (Damato ex braccio destro dell'imprenditrice digitale, ndr) mi ha chiesto di avvisarvi di non andare in ufficio in Tbs, sia noi dell'ufficio sia chi aveva meeting con lui. C'è la Guardia di finanza e stanno interrogando parte del team". E ancora: "Ragazzi anche chi sta andando in Fenice non andate in ufficio. Sono arrivati anche li, Fabio non vuole che inizino a interrogare tutti".
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Sono un garantista, non ho mai chiesto dimissioni. Sull'opportunità è una scelta che spetta alla ministra Santanchè, alla sua sensibilità, non devo dirglielo io". Lo ha detto Antonio Tajani a 'Dritto e rovescio' sul caso Santanchè.
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "C'è molta propaganda politica, legittima, da parte della segretaria del Pd. La sinistra non può dare lezioni, ripresero loro Ocalan con rullo di tamburi all'aeroporto". Lo ha detto Antonio Tajani a 'Dritto e rovescio' sul caso Almasri.
Roma, 30 gen. (Adnkronos) - "Non vorrei ci fosse un attacco politico anche con il sostengo di qualcun'altro, all'estero. Non va bene, si fa anche un danno di immagine al nostro Paese, finire su tutti i giornali stranieri come se metà dei membri del governo fossero dei pericolosi criminali indagati". Lo ha detto Antonio Tajani a 'Dritto e rovescio' sul caso Almasri.