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La Luna e i Calanchi, un festival tra paesaggi e gratitudine

“Il paesaggio, di qui, era il meno pittoresco che avessi veduto mai: per questo mi piaceva moltissimo. Non c’era un albero, una siepe, una roccia atteggiata come un gesto fermo. Non ci sono gesti, quaggiù, né l’amabile retorica della natura generante o del lavoro umano. Soltanto una distesa uniforme di terra abbandonata, e in alto il paese bianco”. Questo scriveva Carlo Levi nel suo libro più famoso, Cristo si è fermato a Eboli, descrivendo quel che vedeva attorno al paese in cui era confinato e nel quale avrebbe poi scelto di farsi seppellire.

Il paese bianco, in alto, è Aliano, provincia di Matera, e si trova in un pezzo di Italia che ancora oggi può essere difficile da raggiungere, perché col treno si arriva in pochi paesi, l’aereo neanche a parlarne, le strade spesso franano. Un pezzo di Italia in cui se viaggi in auto e provi a orientarti con Google maps perché non sai dove andare, delle volte ti segnala dei tratti in rosso, che di solito vogliono dire che c’è coda, c’è traffico, lì invece no: c’è solo una curva un po’ più stretta o un Tir parcheggiato a bordo strada o un incrocio con una strada secondaria, poi di nuovo niente per chilometri.

In questo paese è dal 2012 che alla fine di agosto fanno un festival, che si chiama La Luna e i Calanchi: quest’anno è durato cinque giorni, dal mercoledì alla domenica (forse anche gli altri anni durava cinque giorni, ma io non ci ero ancora andato e quindi non lo so, ma non importa). E in quei cinque giorni – giorno e notte – puoi incontrare centinaia di persone, sentire musica dal vivo, ballare, ascoltare e leggere poesia, partecipare a convegni e dibattiti, a laboratori di scrittura poetica, di pittura, costruire strumenti musicali, condividere cibo e storie, vedere l’alba insieme a tanti o pochi sconosciuti, passeggiare nei calanchi.

Un’atmosfera e un clima umano, sociale e culturale di accoglienza e partecipazione e una sensazione di gratitudine che possono essere riassunti in questo bellissimo anacoluto, sentito proprio in quei giorni: “dobbiamo ringraziare per tutto quello che abbiamo avvenuto”. In un piccolo paese che spiazza persino Google. Al confino.

Scusate: in poche righe ho scritto tante volte paese: paese, paese, paese. Scusate la ripetizione. Il fatto è che La Luna e i Calanchi è il festival di una strana disciplina (poetica? movimento? scienza?) che arriva proprio da lì, dal “paese” come luogo-non-luogo, come posto svuotato, come piccola comunità abbandonata, e  ha il nome di paesologia. La Treccani on line la definisce così: “l’arte dell’incontrare e raccontare i paesi e i luoghi, percepiti come centri di vita associata immersi nel territorio e nella storia e interpretati fuori da ogni rigido schema disciplinare”.

La parola paesologia la dobbiamo a Franco Arminio, poeta e direttore artistico del festival, ma più che di un’invenzione, secondo me, si tratta di una scoperta. Un po’ come si dice sia avvenuto per esempio con la birra, che esiste almeno dal tempo degli antichi egizi: qualcuno a un certo punto si è accorto che una zuppa di acqua e cereali dimenticata lì, a fermentare, era una cosa buona da bere.

A Franco Arminio, secondo me è successa una cosa simile: se n’è accorto. Non si è inventato niente, è semplicemente stato attento (come se fosse semplice stare attenti), ha osservato, ha ascoltato, ha abitato, ha percorso l’Italia dei paesi (nello specifico soprattutto quelli del Sud), per raccontarla e ri-svelarla nelle sue poesie e negli eventi, nelle manifestazioni a cui, insieme a molte altre persone, ha dato vita. Come La Luna e i Calanchi.

Quella dei paesi è un’Italia fragile e preziosa, importante, numerosa, forse proprio quella da cui ripartire; ma non da migranti verso Roma, Bologna, Milano, Torino, la Svizzera, il Belgio, l’America per poi tornare solo d’estate e ri-migrare ogni settembre lasciando il paese vuoto come un guscio, se va bene, oppure non tornare proprio (cervelli in fuga, braccia in fuga, cuori in fuga). Ripartire per stare. Ripartire dai paesi (dal paese) non per andarsene ma per abitare, occupare, vivere, accogliere.
E a quel punto i paesi, forse, sono il paese tutto: Aliano, Aliani, (it)Aliani.