di Giancarlo Boero
L’idea che i parlamentari superstiti del Pd possano aprire un dialogo serio e costruttivo con i 5 Stelle sembra non dispiacere a buona parte degli elettori di entrambi gli schieramenti. Situazione che, paragonata a una manciata di mesi fa, appare mutata. Non tanto per un ripensamento dei pentastellati (è risaputo che la maggioranza avrebbe preferito un’alleanza col Pd piuttosto che con la Lega), quanto per un lento ma sempre più evidente cambiamento di rotta del Pd.
Una parvenza di opposizione concreta al pensiero unico renziano ancora stenta a dare segni di vita tra le fila del gruppo dirigente. Ma la Festa dell’Unità a Ravenna, dove Roberto Fico è stato ascoltato e applaudito più di quanto siano realmente apprezzati gli interventi dei leader dei democratici, fa ben sperare. Soprattutto gli elettori grillini, in gran parte ex votanti del Pd. Ma la strada verso un dialogo tra M5s e Pd è ancora ricca di ostacoli. Il più grosso dei quali, nonostante la collezione di fallimenti dell’ex premier, rimane la sudditanza psicologica del Pd rispetto a Matteo Renzi.
Ma non è l’unico problema. Le basi dei due schieramenti – da una parte i militanti della “sinistra” democratica e dall’altra i grillini – accennano timidamente (e molto di rado) ad accettarsi l’un l’altra. Forse ha proprio ragione Antonio Padellaro quando afferma che “l’implacabile odio fraterno è da sempre una caratteristica autodistruttiva della sinistra”.
Un episodio che ben dimostra questo sentimento di ostilità costante si è verificato anche a Marina di Pietrasanta. Nelle tre giornate di incontri, dibattiti e interviste che hanno consentito ai presenti di ascoltare personaggi illustri del mondo del giornalismo, della politica e dello spettacolo, è anche intervenuto Giuseppe Provenzano, membro della minoranza della direzione del Pd. Nonostante l’intervento parecchio critico nei confronti dell’operato del suo partito e l’ammissione di aver rinunciato ad essere inserito nelle liste del Pd del 4 marzo come segno di protesta alle imposizioni vergognose di Renzi, la platea non si è risparmiata nel contestarlo. L’opinione diffusa è “il Pd ha sbagliato, quindi bisogna allontanarsi”, così come numerosi elettori M5s hanno fatto.
L’idea che un militante decida di non abbandonare la nave provando a cambiare le cose non sembra essere contemplata. Ha ragione Tomaso Montanari quando dice che “le macerie non vanno confuse con le rovine”, ma la triste realtà vuole che una parte ancora consistente della cosiddetta sinistra si fidi del Pd. L’unica possibile soluzione di contrasto alla destra, pertanto, risiede nel tentare una rivoluzione interna al Pd in vista di una riappacificazione col M5s.
Le persone che rappresentano un partito sono importanti, ma la convergenza delle idee è fondamentale. La visione del M5s e quella del Pd – specialmente quella che emergeva nel programma del 2013 – hanno diversi punti in comune. Molti di più di quanti ve ne siano tra M5s e Lega. Peccato che, una volta al governo, i dem abbiano sistematicamente tradito quanto promesso.
Quando il programma di Bersani sosteneva “l’applicazione corretta e integrale di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo”, forse chi lo votò non immaginava che la pratica consistesse nel tentativo di demolizione della Costituzione. Quando si leggeva che il programma era fondato sulla “dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa”, probabilmente non si pensava che lo strumento migliore fosse l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
L’obiettivo, così come sottolinea speranzoso Padellaro, deve essere la ricerca di un centro di gravità permanente in risposta al diffuso senso d’incertezza per ciò che è. Bisogna fare uno sforzo comune. I partiti e i movimenti politici non sono squadre di calcio. Non potrà mai realizzarsi un’opposizione efficace alla destra tifando per la propria parte e facendo a gara nell’accusarsi di errori passati.
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