La città della Sassonia in crisi è diventata il simbolo nazionale dello scontro politico sull'immigrazione. Sottovalutata dalla Cdu, "Alternativa" fa cadere un'altra diga: va in piazza con Pegida. E vola nei sondaggi. "Noi siamo il popolo" si gridava nel 1989. Ma ora è diventato lo slogan dell'estrema destra
In prima fila, uno accanto all’altro, Björn Höcke, Andreas Kalbitz e Jörg Urban. I tre volti dell’Alternative für Deutschland nella Germania dell’Est. Al loro fianco Lutz Bachmann, l’ideatore e ideologo del movimento islamofobo Pegida. E’ una delle tante fotografie che arrivano da Chemnitz, la città della Sassonia diventata da ormai una decina di giorni il nuovo laboratorio delle proteste anti-migranti e di chi vuole fermarle. Ma è anche la più significativa, perché rappresenta l’unificazione di tutte le tendenze dell’estrema destra tedesca: una forza parlamentare è scesa in piazza, dichiaratamente o meno, con islamofobi, hooligans e neonazi. E i sondaggi sembrano premiare questa scelta: secondo le ultime rivelazioni dell’istituto Insa, l’Afd ha raggiunto il 17% dei consensi ed è attualmente il secondo partito in Germania, davanti ai socialdemocratici e dietro soltanto alla Cdu di Angela Merkel.
La sfida che l’ultradestra ha lanciato al suo stesso Paese è cominciata nel fine settimana tra il 25 e il 26 luglio. L’omicidio di un 35enne tedesco, peraltro di origine cubana, di cui sono accusati un siriano e un iracheno ha scatenato una chiamata alle armi sui social network che ha portato migliaia di persone a scendere in piazza la sera stessa di domenica 26 luglio al grido “Fuori gli stranieri”. La protesta è continuata, ha unito gruppi neonazisti e ultras, e si è trasformata da una parte in una caccia allo straniero e dall’altra negli scontri con i manifestanti pro-migranti.
Le sfilate sono proseguite anche per tutta la scorsa settimana, fino al concerto di lunedì 3 settembre organizzato dalle forze anti-razziste per mettere un punto sulla vicenda. In 65mila si sono riuniti a Chemnitz per dire no al neonazismo e ascoltare alcune delle più note band del punk tedesco. “Wir sind mehr”, noi siamo di più, diceva lo slogan del concerto. Le presenze sembrano confermarlo, visto che alla manifestazione più numerosa dell’estrema destra hanno partecipato 6mila persone. Ma quello che è successo a Chemnitz non può essere ignorato, se non altro perché i sondaggi raccontano un’altra verità: in Sassonia l’Afd raggiunge quota 25% dei consensi ed è a un passo dal diventare il primo partito (la Cdu è al 28 per cento).
Mercoledì il primo ministro del Land, il cristiano democratico Michael Kretschmer, ha cercato di minimizzare quanto è accaduto a Chemnitz: “Non c’è stata nessuna caccia allo straniero, nessun pogrom”, ha detto davanti al Parlamento di Dresda, in parte smentendo le dichiarazioni della stessa cancelliera Merkel che aveva parlato di “odio nelle strade” e di filmati che mostravano chiaramente minacce nei confronti degli stranieri. Kretschmer ha cercato soprattutto di difendere l’operato della sua polizia, accusata di aver mal gestito le prime fasi della protesta, in cui ci sono stati una ventina di feriti, o peggio di connivenza con i manifestanti di estrema destra.
Ma le sue parole rappresentano anche quelle che sono le responsabilità della Cdu in Sassonia. Il partito al governo del Land dal 1990 ha sempre cercato di coprire la deriva estremista della regione, strizzando l’occhio agli elettori di ultradestra. E non ha mai affrontato la rabbia e il risentimento che nel frattempo hanno dato vita a un movimento islamafobo come Pegida in un Land in cui la presenza di musulmani è inferiore all’uno per cento.
“Noi siamo il popolo”, gridava la gente in Sassonia nel 1989 durante le manifestazioni che diedero l’ultima spallata al Muro di Berlino. Oggi nella ex Ddr, a Chemnitz, la città che fu Karl Marx Stadt, quello stesso slogan è stato usato dall’estrema destra in piazza. Un paradosso che nasce dal fallimento del processo di parità nella produzione di ricchezza tra le due Germania: la Sassonia sognava di diventare la Silicon Valley tedesca e l’insuccesso dello sviluppo digitale ha fatto riaffiorare i ricordi di comunismo e nazismo. E con essi la paura.
Non siamo in una terra tradizionalmente di destra e infatti Die Linke, il partito di estrema sinistra tedesco, continua a ottenere quasi un quinto dei consensi. Ma il movimento dei “patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”, Pegida appunto, è riuscito comunque ad affermarsi grazie alle idee del pubblicitario Bachmann e alla sua capacità di unire il consenso sui social network alle manifestazioni in strada, una a settimana. Sul solco di Pegida, a cavalcare il malcontento della Sassonia e di tutta l’ex Ddr è poi arrivata anche l’Afd, proponendosi come volto rassicurante dell’ultradestra. E a testimoniarlo ci sono i risultati delle elezioni politiche dello scorso settembre.
Si manifesta con Pegida, si vota Afd. Questo è stato per anni lo schema consolidato. Ecco perché nelle ultime due settimane a Chemnitz, è saltata una diga. L’estrema destra ha radicalizzato ancora di più la sua retorica, incoraggiata dai sondaggi che la danno in forte crescita. Quando a dirigere l’Afd c’era la più moderata Frauke Petry, una mozione del partito aveva vietato manifestazioni in cui comparissero anche simboli o slogan di Pegida. La ex segretaria è stata fatta fuori dopo le ultime politiche dall’ala più estrema del partito, ma anche i due nuovi leader, il falco Alexander Gauland e Jörg Meuthen, solo nel marzo scorso avevano ribadito che quel tipo di simbolismo non era ancora ammesso.
A Chemnitz però i leader locali dell’Afd hanno sfilato al fianco di Bachmann, il gran capo di Pegida già condannato per droga, furto e aggressione e ricordato per aver pubblicato sul suo profilo Facebook una foto con il taglio di capelli e i baffetti alla Hitler. Stando ai retroscena svelati mercoledì dall’edizione online del settimanale tedesco Der Spiegel, la decisione ha provocato non pochi malumori interni al partito. L’ala più nazional-conservatrice ha apertamente criticato l’appoggio a Pegida e la scelta di mantenere almeno formalmente le distanze da Bachmann è stata confermata.
All’Afd dopotutto fa comodo continuare a usare questo doppio binario, sapendo di essere comunque il raccoglitore di tutto quel dissenso nato dopo la politica delle porte aperte voluta dalla Merkel nel 2015. Nonostante i flussi siano diminuiti e quella scelta sia rimasta un unicum, oggi è ancora il collante che ha unito l’estrema destra anche a Chemnitz. E su cui l’Afd punterà in vista delle elezioni regionali del mese prossimo in Baviera.
Dalle parti di Monaco l’ultimo sondaggio, datato 28 agosto, dice che l’ultradestra è al 14%, mentre i cristiano bavaresi (Csu) sono scesi intorno al 36%, livello mai conosciuto dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi. Il leader e ministro dell’Interno, Horst Seehofer, l’uomo della linea dura con i migranti, ha condannato gli scontri di Chemnitz come “ingiustificabili”, mentre l’Afd scagionava apertamente la “giustizia fai-da-te” mostrando così la sua vera natura. Come ha sintetizzato Bachmann parlando proprio a Der Spiegel: “Sono gli elettori dell’Afd che durante le manifestazioni di Pegida mostrano il loro vero volto, non il contrario”.