La Basilicata è il Texas d’Italia. I giacimenti della Basilicata sono i più importanti giacimenti petroliferi su terraferma dell’Unione europea. Mentre ripartono le polemiche sull’avvio della produzione Total a Tempa Rossa, vale la pena pensare se sia giusto cioè riproporre un paradigma che si fonda sullo sfruttamento di sempre più risorse naturali in cambio di dosi sempre minori di crescita economica.

Nomisma, centro studi fondato tra gli altri da Romano Prodi, sembra non avere dubbi. Per bocca del suo esperto di energia Davide Tabarelli, sposa in pieno la causa dell’industria petrolifera. Dopo uno stallo dal 2013 e poi un declino nel 2016, dovuto anche al blocco degli stabilimenti Eni in Basilicata, Tabarelli vede per il 2018 una produzione italiana di petrolio di 5,7 milioni di tonnellate, 4,5 delle quali in Basilicata. Per il 2019 lo scenario sarebbe ancora più roseo con la produzione italiana che schizzerebbe a 7,5 tonnellate. Le entrate da royalties sulla produzione totale di idrocarburi raggiungerebbero così i 395 milioni di euro, 145 spettanti alla Basilicata.

A guardarlo più da vicino questo modello estrattivista non funziona.

In primo luogo, stando alle stesse proiezioni di Nomisma, nel 2019 lo Stato percepirebbe royalties più basse rispetto al 2013. Questo stimando un improbabile prezzo del petrolio di 85 dollari al barile, e a fronte di un aumento esponenziale della produzione di petrolio che passerebbe dai 127mila barili di petrolio al giorno del 2013 ai 174mila bpg del 2019. Siccome il livello produttivo del 2013 ha causato massicci sversamenti che hanno messo in pericolo il lago del Pertusillo, il più grande bacino idrico dell’Italia meridionale, un aumento esponenziale della produzione nella stessa delicatissima area promette molto male.

In secondo luogo, la produzione di petrolio non ha arrecato benefici apprezzabili all’economia della Basilicata. A leggere l’ultimo rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno si evince che i tassi di disoccupazione e la qualità delle infrastrutture della Basilicata non sono migliorati in parallelo con l’aumento della produzione petrolifera. Paradossalmente, l’andamento del Pil della Basilicata è stato in media negativo negli anni tra il 2001 al 2015, mentre è stato positivo tra il 2015 e il 2017 in coincidenza con la diminuzione della produzione di petrolio! In altre parole: cresce la produzione, nulla cambia per la vita dei cittadini della Basilicata che continuano ad emigrare da una delle regioni più povere d’Italia.

In terzo luogo, per l’Italia l’aumento della produzione di idrocarburi non ha diminuito di una virgola la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di idrocarburi. Se non cambia nulla in termini di “sicurezza” energetica anche molto discutibili sono gli effetti in termini di bolletta energetica visto che gli introiti della produzione di petrolio italiana prendono vie che solo il Signore è in grado di conoscere.

Per ribaltare il paradigma estrattivista si può cominciare dai piccoli passi.

Una prima cosa che si potrebbe fare, seguendo le recenti indicazioni del governo, è rivedere tutte le concessioni di idrocarburi, evitando di rinnovarle automaticamente quando giungono a scadenza naturale (così come si è fatto finora). Questo si potrebbe accoppiare perlomeno ad un raddoppio delle royalties, che oggi oscillano tra il 4 e il 10 per cento con esenzioni sotto un determinata soglia di produzione, un livello talmente basso da non avere paragoni nel resto del mondo. Studi internazionali dimostrano che la produzione italiana di gas garantisce profitti maggiori di quelli di tutti gli Paesi Ocse. Ci sono ampi margine per limare questi profitti. L’effetto di un raddoppio delle royalties sarebbe semplice: introiti statali maggiori di quelli previsti da Nomisma, senza alcun bisogno di un aumento di produzione in Basilicata.

Un’altra misura dovrebbe riguardare la Basilicata stessa e la necessità che questa si liberi da una malsana dipendenza dal petrolio. Le entrate petrolifere vengono ad oggi spalmate sulla spesa corrente generando, come rilevato dalla Corte dei Conti, sprechi, opacità e corruzione. Una delle contromisure potrebbe essere quella di creare un fondo regionale al quale vengano conferite tutte le entrate petrolifere, prelevando poi da questo fondo solo gli interessi annuali eventualmente maturati per destinarli ad investimenti che abbiano ricadute di lungo periodo (tipo infrastrutture ed educazione).

Queste misure non sono rivoluzionarie, come lo sarebbero le pur legittime richieste di bloccare del tutto la produzione di petrolio in Basilicata. Sono riformiste, se per riformismo si intende non una strategia per far lievitare profitti e rendite ma un politica per rafforzare il controllo statale sul capitalismo “estrattivista” e favorire il passaggio verso un modello di sviluppo meno dipendente dallo spreco di risorse naturali.

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