La svolta potrebbe arrivare già nelle prossime settimane. Dalla Procura di Livorno non filtra una voce sull’inchiesta sull’alluvione del 2017, se non che “sarà chiusa presto”. Nient’altro: il resto è rigorosamente “top secret”. Ad esempio la super consulenza di centinaia di pagine depositata prima delle vacanze estive e che si concentra sulla parte urbanistica ed edilizia. Negli ultimi dodici mesi l’indagine della magistratura si è mossa lungo due tracce parallele: da una parte il procuratore capo Ettore Squillace Greco, coadiuvato dai sostituti Giuseppe Rizzo e Antonella Tenerani, ha cercato di ricostruire, tramite interrogatori e documenti ufficiali del Comune e della Protezione Civile, cosa successe quella notte e come funzionò la macchina dei soccorsi; dall’altra, subito dopo l’alluvione, la Procura nominò 5 ingegneri che entro tre mesi avrebbero dovuto rispondere ad alcuni quesiti relativi agli aspetti urbanistici, edilizi e idrogeologici. La complessità dei quesiti ha allungato i tempi fino a giugno.
Al momento gli indagati noti sono due: il sindaco Filippo Nogarin e il capo della Protezione Civile comunale, il comandante della polizia municipale Riccardo Pucciarelli, entrambi accusati dai pm livornesi di omicidio colposo plurimo. I filoni dell’indagine sono tre: il primo riguarda la progettazione urbanistica della città (“In Toscana sono state fatte troppe porcherie” commentò a caldo il procuratore Squillace Greco all’indomani della tragedia), il secondo la gestione e la “manutenzione” dei corsi d’acqua e il terzo la ricostruzione dei fatti di quella notte e il funzionamento della macchina dei soccorsi. Nel frattempo, anche il consiglio comunale ha cercato di fare luce con due commissioni d’indagine: una relativa alle opere di urbanizzazione degli ultimi decenni e l’altra sulle eventuali responsabilità di Nogarin nella macchina dei soccorsi. I lavori della prima non sono ancora conclusi mentre alla seconda manca solo la relazione finale.
Progettazione urbanistica e corsi d’acqua
Uno dei due capitoli della “superperizia” che è arrivata a fine giugno sulla scrivania degli investigatori si è concentrato sul rapporto tra il regolamento urbanistico e le applicazioni edilizie a partire dagli anni Settanta. In sintesi, i magistrati volevano capire come e cosa è stato costruito negli scorsi decenni soprattutto nelle zone a rischio – ovvero i quartieri sud di Ardenza, Salviano, Collinaia e Monterotondo, i più colpiti dall’alluvione. Un anno fa l’attenzione si concentrò soprattutto sulle 3.408 abitazioni costruite nelle zone a rischio, di cui 2.324 in area con pericolosità elevata e 1.084 a pericolosità molto elevata. Queste ultime sono le case edificate negli ultimi decenni a pochi passi dai tre corsi d’acqua principali (il Rio Maggiore, il Rio Ardenza e il Rio Stringaio, tutti esondati con effetti distruttivi) e gli investigatori sono partiti proprio dai regolamenti edilizi di queste aree per capire se ci sono stati errori o responsabilità delle passate amministrazioni.
Inoltre, i pm livornesi hanno chiesto agli esperti anche di verificare lo storico e il funzionamento delle quattro casse di espansione costruite lungo il Rio Maggiore a partire dal 2012 e pensate per contenere piogge che possono verificarsi ogni 200 anni: sei anni fa l’amministrazione di centrosinistra trovò il modo di finanziare le quattro vasche (5,2 milioni) ma al prezzo di una lottizzazione del Nuovo Centro, un nuovo quartiere che sarebbe sorto di lì a poco proprio dietro il Cimitero della Misericordia e soprattutto a ridosso del Rio Maggiore, uno dei canali a rischio. In sostanza i magistrati vogliono capire se i calcoli relativi alla portata duecentennale furono corretti, se il regolamento urbanistico dell’area fu tutto regolare, se le casse di espansione quella notte abbiano funzionato e come, se ci siano state mancanze nella manutenzione.
E poi c’è il controllo, la “gestione”, la pulitura dei corsi d’acqua che un anno fa ruppero gli argini provocando distruzione e morte. In questi mesi gli investigatori hanno cercato di capire come funziona la manutenzione delle fogne bianche e nere e la manutenzione dei fiumi e dei fossi, quest’ultima in capo al Consorzio di Bonifica. La perizia depositata a giugno potrà dare risposte ad un interrogativo: lo straripamento del Rio Ardenza e del Rio Maggiore è da ricercare semplicemente nella “eccezionalità” dell’evento o ci sono state carenze?
I soccorsi
Questo è il capitolo più spinoso, sul quale i pm Rizzo e Tenerani hanno lavorato direttamente. I pm livornesi hanno cercato risposte a due domande: primo, ci sono stati errori o responsabilità nel sistema di allerta comunale?; secondo, ci sono state carenze o responsabilità nella macchina dei soccorsi una volta scoppiato il nubifragio? Dalle 21,39 del 9 settembre, quando il Centro funzionale di monitoraggio della Regione informò il Comune dell’allerta, nella Provincia di Livorno erano partiti 75 allarmi, di cui 20 solo per il capoluogo. E a gestire la macchina degli interventi c’era un solo dipendente del Comune: il geometra Luca Soriani che, come ha detto il funzionario della Protezione civile provinciale Angelo Mollo durante i lavori della commissione d’indagine, “era da solo a gestire una città di 160mila abitanti”. Negli ultimi mesi sia la Procura che i commissari hanno dedicato molte ore all’audizione di tutti i protagonisti della vicenda tra cui anche l’ex responsabile della Protezione Civile comunale Leonardo Gonnelli, che Nogarin ha trasferito all’ufficio mobilità un mese prima dell’alluvione: “Quando c’è un’emergenza in plancia ci deve essere il sindaco” aveva detto a metà ottobre proprio Gonnelli in commissione, provocando l’ira della giunta comunale.
E’ il capitolo dei soccorsi, comunque, quello che riguarda da vicino l’operato del sindaco Nogarin che quella notte venne a sapere di cosa era successo solo dopo le sei di mattina, ovvero quattro ore dopo l’esondazione dei fiumi. A novembre i magistrati livornesi lo hanno interrogato per ben cinque ore chiedendogli di fare “una ricostruzione puntuale della vicenda”: “Ai pm ho ripetuto quello che ho sempre detto pubblicamente – dice il primo cittadino – e penso che il mio interrogatorio-fiume sia servito loro per chiarirsi un po’ le idee su quello che era successo”. Di diverso avviso Pietro Caruso, membro della commissione d’indagine e capogruppo Pd in consiglio: “Dalla nostra commissione emerge che ci sono state delle carenze sotto un profilo organizzativo e gestionale quella notte – dice al fatto.it – e fondamentalmente è mancata la presenza del sindaco, poi c’è un’inchiesta in corso e sarà quella a dover far luce sulle eventuali responsabilità penali”.