“Sentendo tale Di Maio, che non ha mai lavorato in vita sua, discettare di chiusura dei negozi la domenica, io, da figlio di venditore ambulante, non posso che avere una reazione spaventosamente negativa, perché viene colpita la libertà”. Così il deputato di Forza Italia, Renato Brunetta, commenta la decisione del ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, sulla chiusura delle attività commerciali la domenica e nei giorni festivi, in un’intervista rilasciata a Lanfranco Palazzolo per Radio Radicale. “Sono figlio di un venditore ambulante” – spiega – “ho fatto il venditore ambulante e ho imparato, sulla strada, i fondamenti dell’economia e del commercio. Ho imparato che fondamentale è la libertà, avere poche regole fiscali, rispettarle e lasciare, poi, che il mercato dispieghi tutte le sue potenzialità. Nella proposta un po’ confusa e vaga di Di Maio ci sono molto rancore sociale e nostalgia per tempi delle pastarelle, come direbbe Massimo Bordin, per i tempi delle famigliole si riunivano la domenica in un’Italia rurale pre-industriale. Un’Italia di poveri, di contadini che si ammazzavano di fatica la domenica e di notte. Era un’Italia povera, quella di mio padre e della nostra bancarella”. E aggiunge: “Tecnicamente è un’operazione impossibile, perché contrasta, in quanto norma centralistica, con il Titolo V della Costituzione, e quindi con l’autonomia delle Regioni nell’organizzare e regolare autonomamente gli orari di apertura. In più, è impossibile vigilare sulla chiusura effettiva di tutte le attività commerciali. Mi sembra una vera follia, che farebbe perdere 200-300mila posti di lavoro, soprattutto tra i giovani. Farebbe collassare centinaia di miliardi di investimenti in strutture distributive. E non tiene conto dell’evoluzione della tecnologia, perché si farebbe un grandissimo regalo a colossi dell’e-commerce come Amazon, che già sta condizionando, se non distruggendo, il mondo delle reti commerciali e questa sarebbe la botta definitiva”. Poi rincara: “Mio padre mi insegnava che bisognava aprire prima la mattina e chiudere per ultimi la sera, perché così si incassava di più. Si chiama concorrenza. Ha lavorato sempre mio padre, così come ho lavorato sempre io. Questa proposta di Di Maio è una follia regressiva, nostalgica, da invidia sociale. E si somma al no alla Tav, al no alla Tap, no ai vaccini obbligatori. Mamma mia, come mai siamo precipitati in questa follia? Questo è il governo non del cambiamento, ma del cattivo galleggiamento rancoroso e nostalgico”. Negativo il commento sul governo Conte (“è una zeppa, una maggioranza impossibile e democraticamente illegittima”), ma con un’apertura al partito di Salvini: “La Lega torni a essere, se lo è veramente, un partitoo garantista e non giustizialista. Il giustizialismo lo lasci ai poveri Travaglio e compagni, a Grillo, ai grillini, a Casaleggio, a Di Battista, a Di Di Maio, a questa gente, che non merita il governo per questa sua cultura manettara. Questo non è il governo che hanno voluto gli italiani”.