L’ex assessore alla Casa di Lecce, Attilio Monosi, si interessò per assegnare una casa al fratello del boss della Scu “su esplicita richiesta di omissis e di Damiano D’Autilia“, ex consigliere comunale. Ed è dietro quell’omissis riportato dal gip del tribunale salentino Giovanni Gallo nell’ordinanza di custodia cautelare che ha colpito 7 persone lo scorso venerdì che l’inchiesta della procura di Lecce sui voti ottenuti in cambio delle case popolari assume maggiore rilievo. Perché, rivela il Nuovo Quotidiano di Puglia, il nome coperto da “omissis” è quello di Roberto Marti, senatore della Lega.

Il parlamentare, indagato già dal febbraio 2017 nell’inchiesta che coinvolge 48 persone compresi numerosi ex amministratori e funzionari del Comune, secondo la ricostruzione degli investigatori, tre anni fa, fu complice del tentativo di favorire l’ingresso di Antonio Briganti, fratello del boss Pasquale, e di sua moglie Luisa Martina, in un’abitazione popolare. Non un immobile qualunque: la casa era stata confiscata alla criminalità organizzata.

I fatti risalgono al 2015. All’epoca, Marti era in Parlamento con Forza Italia ed è poi transitato nei Cor di Raffaele Fitto prima di accasarsi nel Carroccio. Secondo la ricostruzione della Guardia di finanza, Briganti fece pressioni per riceve una casa dopo l’incendio della sua abitazione. Troppo alto il canone pagato per l’affitto della nuova casa. Così, ricostruire il giudice per le indagini preliminari, Monosi si interessa per facilitarlo “su esplicita richiesta di [omissis] e Damiano D’Autilia”. A far da tramite, ricostruisce il Nuovo Quotidiano di Puglia, l’ex autista dello stesso D’Autilia.

Il “piano” congegnato da Monosi non sarebbe andato a buon fine per un solo motivo: l’intervento dei finanzieri che proprio in quel periodo perquisirono gli uffici del Comune nell’ambito dell’inchiesta sfociata poi negli arresti degli scorsi giorni. Innanzitutto, sempre secondo la procura, Monosi prova la carta della delibera di giunta, istruita da un funzionario dell’ufficio Patrimonio. Ma, siccome la moglie di Briganti non si trovava in una posizione idonea nella graduatoria, l’opzione venne scartata. Non prima però, ricostruisce il quotidiano salentino, di un nuovo tentativo dell’ex assessore teso a convincere le 13 persone che la precedevano a rinunciare.

A questo punto, ecco il “piano B”. Secondo l’indagine, l’idea è quella di assegnare l’immobile in comodato d’uso alla cooperativa sociale Gens di Monteroni, “su specifica indicazione di Damiano D’Autilia, cui era riconducibile la predetta cooperativa”. In questo modo, secondo l’impostazione dell’indagine, Gens l’avrebbe poi girata in maniera illegittima ai coniugi Briganti, nonostante l’assegnazione dell’immobile alla coop presupponeva un fine sociale. Tutto salta perché, l’11 marzo 2015 i finanzieri – che come riporta il Nuovo Quotidiano di Puglia hanno in mano intercettazioni che corroborano la loro ricostruzione – si presentano in Comune e tra le altre cose sequestrano proprio la proposta di delibera.

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