A pochi giorni di distanza dalla guerra tra bande che ha contrapposto le forze governative fedeli al Primo ministro sostenuto dalle Nazioni Unite, Fayez al-Sarraj, e le milizie ribelli guidate dalla Settima Brigata, Tripoli è di nuovo sotto attacco. Questa volta, a colpire è stato un commando di sei uomini appartenenti, secondo le forze di deterrenza Rada che sono intervenute sul posto, allo Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi. Con tre soldati kamikaze, fucili mitragliatori e bombe a mano, i terroristi hanno superato la sicurezza e occupato la sede centrale della National Oil Corporation (Noc), la compagnia petrolifera statale che controlla una fetta maggioritaria della più importante economia libica e che negli anni ha stipulato numerose collaborazioni con altre multinazionali del settore, tra cui l’italiana Eni. Gli uomini, probabilmente di origine centrafricana, hanno superato le guardie armate avvalendosi di un primo kamikaze, una strategia che ha fatto subito pensare al coinvolgimento di Isis, uccidendo due uomini della sicurezza, e hanno preso possesso dell’edificio in cui si trovava anche il Presidente del Noc, Mustafa Sanallah, che pochi minuti dopo è riuscito a fuggire sul tetto e, insieme ad altri dipendenti, essere messo in salvo dalle forze dell’ordine intervenute.

Quando la maggior parte dei civili all’interno era ormai stata evacuata, la Rada ha fatto irruzione e ucciso tutti i jihadisti ancora vivi, visto che tre di loro si erano fatti saltare in aria con cinture esplosive. Il bilancio finale è di due guardie morte, dieci feriti e sei terroristi uccisi. “Tutti i dipendenti sono stati tratti in salvo”, ha poi dichiarato il Presidente della compagnia alle tv locali che stavano seguendo l’evolversi della situazione. Al termine dell’attacco, il Primo ministro al-Sarraj ha convocato una riunione d’emergenza con i vertici della sicurezza, tra cui il capo dell’intelligence, Abdelkader Al-Tuhami, e il comandante della guardia presidenziale, Najmi al-Nakou per cercare di stabilire le dinamiche dell’accaduto: è necessario “approfondire i risvolti di quest’attacco terroristico e il background dei suoi responsabili”, ha dichiarato, sottolineando la necessità di attuare “tutte le misure, anche preventive, necessarie a livello di sicurezza per sventare i piani dei terroristi”.

Moavero va da Haftar per avviare il processo di pace.
Con Tripoli in stato d’emergenza, dopo i violenti scontri della settimana scorsa che hanno indebolito ulteriormente la posizione del Primo ministro riconosciuto dall’Italia e dall’Onu, Fayez al-Sarraj, la mossa del ministro degli Esteri italiano racconta della volontà di velocizzare il dialogo tra le diverse anime del Paese e avviare il processo di pace. Con il cessate il fuoco tra milizie anti-governative e militari fedeli al premier di Tripoli che rischia di essere violato da un momento all’altro, è necessario per la diplomazia convincere il principale oppositore di al-Sarraj a sedersi a un tavolo con le forze internazionali.

Alla fine dell’incontro, i due protagonisti si sono detti felici di aver avviato un percorso di mediazione per cercare di condurre il Paese verso il processo di pace e ad elezioni libere e sicure: “L’Italia – ha sottolineato Moavero – attribuisce grande importanza al mantenimento di un attivo dialogo con tutti coloro che guardano al futuro della Libia con leale amicizia, nello schietto interesse del suo popolo e della sua piena autodeterminazione. I cittadini libici devono essere messi in grado di esercitare la propria sovranità e di poter decidere liberamente il proprio destino. Il percorso politico avviato va portato a termine, in particolare, attraverso elezioni ordinate e trasparenti, che si svolgano in condizioni di adeguata sicurezza”. Posizione confermata anche dal generale Haftar che ha detto di “essere pronto a dare il suo contributo per supportare attivamente la sicurezza, la stabilizzazione e il dialogo nel Paese, per il bene di tutti i libici”. Il prossimo incontro per compiere un ulteriore passo in avanti potrebbe essere la conferenza sulla Libia che l’Italia dovrebbe ospitare a novembre e alla quale è stato invitato anche il militare della Cirenaica.

Dopo la rivolta dei ribelli della Settima Brigata, diretti verso il centro della capitale, e le dichiarazioni delle milizie di Misurata, storiche alleate del governo di unità nazionale, che hanno tolto l’appoggio al’esecutivo “corrotto”, il generale Haftar, sostenuto dal governo francese, aveva dichiarato che se non si fosse arrivati rapidamente al voto nel Paese, i suoi uomini si sarebbero presi la capitale con le armi. La data ipotizzata dalla Francia, ma ignorata dalle Nazioni Unite, sarebbe quella del 10 dicembre. Una prospettiva che i sostenitori del governo al-Sarraj reputano irreale a causa dell’alto livello di instabilità nel Paese. A quel punto Haftar ha precisato che si aspetta elezioni “trasparenti”. Se non fosse così, “l’esercito nazionale libico (le milizie sotto il suo comando, ndr) procederà a un’azione che le farà abortire. L’esercito muoverà su Tripoli a tempo debito”, ha anche detto il generale nel lungo intervento trasmesso in tv. Secondo il Raìs della Cirenaica, l’avanzata militare su Tripoli rimane un’opzione al momento “inevitabile”.

La posizione del governo di unità nazionale si è ulteriormente indebolita dopo che anche le milizie di Misurata, storiche alleate di al-Sarraj e in prima linea durante la guerra allo Stato islamico a Sirte, hanno deciso di non combattere più a sostegno dell’esecutivo a trazione Onu. Messaggio ribadito anche oggi, lunedì 10 settembre: l’amministrazione comunale ha sostenuto la necessità di una liberazione completa della capitale dai gruppi armati, ribadendo però che i politici attualmente in carica devono essere rimossi perché “corrotti” e non interessati ai bisogni dei cittadini.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Elezioni Svezia, l’ultradestra xenofoba vola al 17.7%. Socialdemocratici aprono a centrodestra: “Uniti contro partiti nazisti”

next
Articolo Successivo

Elezioni Svezia, l’estrema destra ha gli stessi voti della Lega. Nessuno però gli consegnerà il Paese

next