Secondo il racconto di chi è stato recuperato, è partita una chiamata verso la Guardia costiera italiana ma quando è arrivato un aereo era troppo tardi: tra le vittime anche 20 bimbi. I sopravvissuti, salvati dai libici, sono stati subito rinchiusi in campi di detenzione in condizioni definite "deplorevoli". Molti di loro erano scappati da Tripoli dopo i bombardamenti dei giorni scorsi. L'organizzazione: "Ora c'è il rischio che diventino vittime della tratta"
Oltre 100 persone sono morte in un naufragio al largo della Libia il primo settembre. Lo riferisce Medici Senza Frontiere, riportando alcune testimonianze dei sopravvissuti, soccorsi dalla guardia costiera libica e trasferiti a Khoms (a est di Tripoli) il 2 settembre. Tra le vittime, ci sarebbero anche venti bambini tra cui due piccoli di 17 mesi. Solo due corpi sono stati recuperati. Un sopravvissuto ha riferito che è stata contattata la Guardia costiera italiana, ma quando i “soccorritori europei sono giunti la barca era già affondata”. Msf ha fornito assistenza al gruppo di naufraghi solo negli ultimi giorni: alcuni presentavano estese ustioni chimiche per via del carburante del motore del gommone sul quale viaggiavano.
Secondo le informazioni raccolte dall’organizzazione non governativa in totale il gruppo che stava navigando a bordo di due gommoni era composto in totale da 276 persone, tra questi anche i sopravvissuti al naufragio. Il fatto è avvenuto il primo settembre. I superstiti sono stati recuperati e portati a Khoms (120 chilometri a est di Tripoli) il giorno dopo. I migranti sui due gommoni erano provenienti da Sudan, Mali, Nigeria, Camerun, Ghana, Libia, Algeria ed Egitto. “Il primo gommone – ha raccontato un sopravvissuto agli attivisti di Msf – si è fermato per un guasto al motore, mentre il nostro ha continuato a navigare ma ha cominciato a sgonfiarsi verso l’una del pomeriggio”. “In quel momento – ha continuato – il telefono satellitare ci ha mostrato che non eravamo lontani da Malta. Abbiamo chiamato la guardia costiera italiana e mandato le nostre coordinate, chiedendo assistenza mentre le persone cominciavano a cadere in acqua. Ci hanno detto che avrebbero mandato qualcuno. Ma il gommone ha cominciato ad affondare”, ha proseguito il superstite, aggiungendo che quando “i soccorritori europei sono arrivati in aereo e lanciato zattere di salvataggio ma eravamo già in acqua e la barca già affondata e capovolta. Se fossero arrivati prima, molte persone si sarebbero potute salvare”. Secondo il racconto del superstite, “solo 55 persone sulla sua imbarcazione sono sopravvissute”. Poi è intervenuta anche la guardia costiera libica che ha soccorso i superstiti e i naufraghi della primo gommone portandoli poi in Libia.
“Il nostro team medico ha lavorato duramente per diverse ore per assistere i sopravvissuti nelle condizioni più gravi” dice Jai Defransciscis, infermiera di Msf che lavora a Misurata, nel nord-ovest della Libia. “Siamo riusciti a trattare 18 casi urgenti, tra cui nove persone che soffrono di ustioni chimiche estese (fino al 75 per cento del corpo)”. Una volta sbarcati a Khoms, spiega Msf, i superstiti (tra loro donne incinte, bambini e neonati) sono stati portati in un centro di detenzione. “E’ fatto comune – sottolineano i Medici senza frontiere – che le persone sbarcate da situazioni insalubri vengano portate subito in centri di detenzione arbitraria”. Tra gennaio e agosto, secondo i dati di Msf, la guardia costiera della Libia ha riportato indietro 13185 migranti e tra questi anche presunti profughi. “Siamo molto preoccupati per i nostri pazienti – continua Defransciscis – Come possono guarire quando sono chiusi nelle celle, in condizioni igieniche precarie, e dormono su coperte o materassi messi sul pavimento, che causano un dolore incredibile per chi soffre di ustioni gravi? Alcuni di loro non possono nemmeno sedersi, o camminare”. Per giunta, aggiunge Msf, l’accesso insufficiente all’acqua potabile e al cibo aggrava la situazione, anche sotto il profilo clinico. A tutto questo si aggiunge il dolore per aver perso un familiare in mare. “Invece di ricevere il sostegno di cui hanno bisogno – ribadisce Msf – i rifugiati e i migranti vengono arrestati e detenuti in condizioni di vita deplorevoli”.
Tra i detenuti, Msf ha incontrato richiedenti asilo e rifugiati che sono stati registrati o riconosciuti dall’Unhcr, l’alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, in Libia o in un altro paese. Tuttavia le procedure dell’organizzazione dell’Onu per portarli in un Paese terzo, decise dopo i video nei campi libici trasmessi dalla Cnn, sono fermi da mesi. “Invece – continua Msf – i richiedenti asilo e i rifugiati devono affrontare una detenzione arbitraria indefinita e rischiano di essere vittime della tratta, poiché spesso le reti criminali sono l’unica opzione per queste persone per continuare il loro viaggio in cerca di sicurezza”. Tra le altre cose alcune delle persone con cui gli operatori Msf hanno parlato hanno raccontato di aver deciso “di lasciare Tripoli per sfuggire ai violenti scontri e ai bombardamenti iniziati il 26 agosto nella capitale”.