La valutazione degli insegnanti è una questione su cui si sono cimentate le tante riforme della scuola succedutesi negli anni. Anche l’ultima versione non sarà di facile applicazione. Perché non si concede mai il tempo per imparare dall’esperienza.
di Carlo Dell’Aringa (Fonte: lavoce.info)
Corsi e ricorsi
Aprono le scuole e ancora una volta si preannuncia un film già visto: girandola di cattedre e di insegnanti, supplenze e ansie dei genitori per le nomine in ritardo. In più quest’anno abbiamo anche il problema delle vaccinazioni. Piove sul bagnato.
Le riforme della scuola si susseguono con ritmo incessante. Il succedersi dei cambiamenti spesso non risponde alla logica di migliorare l’esistente, secondo il metodo dei “tentativi ed errori”, ma a una filosofia di breve respiro che consiste nell’accontentare coloro che si ritengono danneggiati dagli interventi attuati dai governi precedenti. In questo modo, si creano le premesse per successivi cambiamenti in senso contrario. D’altra parte, quella della scuola è una fabbrica troppo importante che, con il suo indotto di famiglie, docenti e alunni, attira inevitabilmente una forte attenzione da parte di coloro che coltivano il consenso elettorale.
Si potrebbero fare esempi significativi di “corsi e ricorsi”. Uno è certamente quello delle supplenze, della mobilità, delle immissioni in ruolo e della lotta al precariato. Anche di recente, sono state investite ingenti risorse, ma il risultato è quello che abbiamo (e che avremo tra qualche giorno) sotto gli occhi. Le norme si susseguono, vengono cambiate e non c’è mai il tempo per la loro completa attuazione.
Valutazione degli insegnanti: un “caso di scuola”
La valutazione degli insegnanti è un altro (si può ben dire) “caso di scuola”. Parte da lontano e la legge n. 107 (detta della “Buona scuola”) è l’ultimo (meglio dire il penultimo) atto della storia. Già nei contratti collettivi degli anni Novanta, che dovevano mettere in pratica la “privatizzazione” del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, si tentò di trasformare gli scatti di anzianità degli insegnati in aumenti di merito. Non se ne fece niente. Poi si passò al famoso “concorsone” di Luigi Berlinguer, forse una delle idee migliori per inserire un percorso di carriera per gli insegnanti. Finì miseramente tra le polemiche. Ci provarono in successione quasi tutti i ministri dell’Istruzione che vennero poi. Anche la “riforma Brunetta”, che ridimensionava fortemente la fonte contrattuale nella regolazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, si cimentò alquanto con i sistemi di valutazione. Il farraginoso e burocratico ciclo della “performance” avrebbe dovuto applicarsi anche alla scuola. Ma, in primo luogo, non era affatto chiaro come un sistema di valutazione dei risultati che era stato pensato essenzialmente per i dipendenti dei ministeri potesse essere applicato agli insegnanti. In secondo luogo, la riforma non vide mai la luce perché si sarebbe dovuta applicare solo dopo i rinnovi dei contratti collettivi. Ma questi non vennero rinnovati per lungo tempo.
Veniamo così alla valutazione degli insegnanti messa in atto dal governo Renzi con la legge della “Buona scuola”. I sindacati sono stati estromessi dalla contrattazione dei premi legati al merito (“i compensi legati alla valorizzazione del personale“). La legge prevede che debbano essere gestiti dai dirigenti scolastici sulla base di criteri definiti dal comitato di valutazione degli insegnanti. Un comitato costituito con rappresentanze dei genitori, degli studenti, del direttore regionale e di figure terze.
Quello che è successo nella scuola con questa legge è a tutti noto. Si sollevò la protesta generale e il governo Gentiloni cercò di porre qualche rimedio. Approfittando anche del fatto che nel frattempo i rinnovi dei contratti nazionali erano stati sbloccati.
È iniziata una nuova fase di contrattazione collettiva, dove ai sindacati è stato riconosciuto un ruolo maggiore, modificando in parte la “Brunetta” e la stessa legge sulla “Buona scuola”. In primo luogo, gli aumenti di merito sono stati ridimensionati in valore e, in secondo luogo, sono rientrati in qualche misura sotto il controllo della contrattazione collettiva. A essa ora spetta definire i criteri sulla base dei quali i presidi definiscono gli aumenti salariali. Al comitato previsto dalla Buona scuola viene confermato il compito di elaborare i criteri che il preside deve applicare nella valutazione degli insegnanti, ma ora spetta alla contrattazione collettiva tra sindacati e preside indicare quelli sulla base dei quali i compensi legati al merito saranno effettivamente attribuiti ai singoli docenti.
Separare i criteri di valutazione dei singoli docenti da quelli da seguire per concedere gli aumenti retributivi agli stessi docenti non sarà di facile applicazione. E l’esperienza dimostra che, in passato, soluzioni analoghe hanno creato, in quanto mal gestite, confusione dei ruoli e scarsa efficacia dello strumento. Come sempre, le soluzioni sulla carta possono essere più o meno buone, occorre però una corretta gestione e occorre anche il tempo per imparare dall’esperienza per fare meglio in futuro.
Siamo tornati quindi punto e a capo, in attesa di ulteriori iniziative del nuovo governo. Che per ora deve risolvere il problema, aggiuntivo, delle vaccinazioni.