Legami di sangue? No grazie, meglio quelli nati dal sostegno profondo di una vita condivisa, a prescindere dalle tinte “più o meno legali” che questa comporta. Opinabile quanto si voglia, il tema è al centro di Un affare di famiglia, il nuovo e bellissimo film di Hirokazu Kore-eda premiato con la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes e in uscita italiana il prossimo 13 settembre. Un’opera esemplare nella forma classica che riveste e dà sostanza al contenuto sconcertante e destabilizzante. D’altra parte è lo stesso autore giapponese, da anni cantore della tematica famigliare che gli è profondamente cara, a darne ragione, “soprattutto dopo il terremoto del 2011, non mi trovavo a mio agio con quelli che continuavano a dire che i legami familiari sono importanti”.
Quando non è documentario strettamente realistico, il cinema è chiamato ad aprirsi alla libera creazione immaginifica ed è proprio attraverso questa che – come la poesia – riesce nel miracolo di mettere a nudo la Verità. Una verità che nella Tokyo contemporanea illustrata dal cineasta 56enne si manifesta in una famiglia modello composta da genitori, due figli e la nonna. Vivono in un regime appena sopra la miseria, arrabattando la sopravvivenza grazie all’”arte del furto”, quello piccolo e quotidiano nei supermercati e negozi, che il padre e il figlio maggiore perpetrano ed insegnano anche all’ultima arrivata, una bimba di circa 4 anni che incontrano solitaria e abbandonata all’ingresso di un’abitazione. Vedendola in quelle condizioni se la portano a casa, la sfamano, “la fanno diventare” membro della propria famiglia. Ma è proprio il ritrovamento di quella bambina il punto di partenza che avvia alla fine, ovvero al crollo del castello di menzogne su cui il consesso parentale è costruito.
Lavorando sulla disseminazione di indizi che giammai saranno qui rivelati, il prolifico regista nipponico giunto al suo 21° lavoro audiovisivo soddisfa una matura armonia tra forma e contenuto arrivando a mescolare i generi (il dramma famigliare e il crime movie, soprattutto) senza tradire la propria cifra autoriale. Dai precedenti che indagano i suddetti legami – si pensi soprattutto alla “trilogia” post terremoto Father and Son (2013), Little Sister (2015) e Ritratto di famiglia con tempesta (2016) – Kore-eda sposta leggermente il fuoco verso elementi “diversi” che possano creare rapporti forti e duraturi fra le persone. E tale spostamento in realtà è funzionale alla comprensione ancor più profonda dell’identità della problematica società giapponese contemporanea, sulla “materia” che tiene legate le persone in un’epoca così moralmente fragile.
Il suo film, composto, sensibile e girato magnificamente, diventa così territorio rivelatore di verità nascoste a loro volta sintomo di una società alla deriva. Veterano sulla Croisette ma al suo primo trionfo del massimo premio, Hirokazu ha dichiarato ricevendo la Palma d’oro “Ogni volta che vengo al Festival di Cannes ricevo coraggio e speranza, speranza che grazie al cinema persone e mondi che di solito si scontrano possano finalmente ricongiungersi”. E la giuria capitanata da Cate Blanchett si è fatta “travolgere” da questo suo nuovo contributo all’arte cinematografica, ritenendolo “un film straordinario”.
La clip in esclusiva per il fattoquotidiano.it
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