È stata archiviata l’inchiesta sull’agguato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. I fatti risalgono al 18 maggio del 2016 quando l’auto blindata di Antoci fu colpita da tre colpi di fucile nei boschi dei Nebrodi, tra Cesarò e San Fratello (Messina).”A più di due anni dal vile attentato che ha colpito me e la mia scorta, oggi, dall’inchiesta chiusa dalla magistratura, la sola cosa certa venuta fuori dalle indagini è che quel commando in tuta mimetica, che assaltò la Thesis sulla quale viaggiavamo quella sera, aveva il chiaro obbiettivo di uccidere colpendo prima la ruota posteriore sinistra dell’auto blindata – afferma Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, responsabile Legalità del Pdsuccessivamente – e successivamente dandole fuoco con le molotov ritrovate, costringerci a scendere per essere giustiziati. Solo grazie all’arrivo del vicequestore Manganaro siamo riusciti a salvarci. Speriamo vivamente in un collaboratore di giustizia che possa fare luce e aiutare la magistratura a riaprire l’indagine come è spesso accaduto nella storia degli attentati in Sicilia – continua – Ho il desiderio di vedere alla sbarra chi quella notte ci aspettava per ucciderci ma anche chi ha tentato di depistare e infangare. Per questi ultimi nei prossimi giorni arriveranno certamente i primi rinvii a giudizio“.
La procura di Messina aveva chiesto l’archiviazione dell’inchiesta il 22 maggio 2018. Antoci era entrato in rotta di collisione con le famiglie mafiose dei Nebrodi – la cosiddetta “mafia dei pascolI” – per l’applicazione di un protocollo di legalità che ha sottratto loro i terreni sui quali incassavano finanziamentimilionari dall’Unione europea. Agli atti dell’inchiesta, firmata da ai sostituti della dda di Messina Angelo Cavallo, Vito Di Giorgio e Fabrizio Monaco, e controfirmata dal procuratore Maurizio De Lucia, c’erano sono le indagini della polizia anche sulle cinque cicche di sigarette smozzicate trovate nel luogo della sparatoria. Il Dna estratto non ha avuto riscontri positivi con quello dei 14 indagati. Dalla perizia balistica allegata al fascicolo emergeva che a sparare tre colpi di fucile calibro 12 caricato a palla unica sarebbe stata una sola persona dal terrapieno vicino al ciglio della strada. Le fucilate, è ipotizzato, non dovevano uccidere, ma servivano a fare fermare l’auto, per poi poter lanciare due bottiglie molotov, ritrovate intatte poco distante. L’intervento del commissario Manganaro avrebbe salvato loro la vita. Dalle indagini è emersa anche l’attenzione maniacale dei sospettati a stare attenti nel parlare al telefono e nel bonificare le auto da eventuali microspie.
“Vorrei solo poter ritornare ad una vita normale – continua Antoci – ma perché tutto questo possa accadere ho bisogno di vedere arrestati e condannati gli autori del mio attentato. Non passa notte in cui non tornano nei mie sogni gli spari e le grida di quella notte, la paura del vice questore Manganaro e degli uomini della mia scorta, gli occhi smarriti di mia moglie e delle mie figlie al rientro dall’ospedale. La verità è che se ognuno avesse fatto il proprio dovere, se si fosse vigilato sulle erogazioni dei Fondi Europei, evitando così che andassero nelle mani delle mafie italiane, tutto ciò poteva essere senz’altro evitato”. “Adesso – conclude – speriamo in qualche collaboratore di giustizia, è sempre accaduto così per quasi tutti gli attentati di mafia compiuti in Sicilia, è sempre arrivato il solito pentito che fa nomi e cognomi. Spero arrivi presto… solo così i miei sogni, se pur ormai non più tranquilli, saranno almeno alleviati dall’aver avuto giustizia”.