Come scrive Raboni della Ginzburg nel libro che ho tra le mani, lo stesso potrei dire io di Sandra Petrignani e del suo La corsara: “L’autrice ha adibito alla realizzazione di questo progetto le sue doti migliori e più tipiche di narratrice (…)”.
Natalia Levi, poi Ginzburg, è cresciuta via via che voltavo le pagine. Petrignani la mostra da bambina, solitaria e malinconica, intenta a scrivere brevi poesie; quindi giovane scrittrice di racconti conquistare l’amore di un ragazzo geniale e taciturno, amico dei suoi fratelli. Madre che trascina in salvo i suoi tre figli, il fascismo ha appena ucciso suo marito. Gli anni poi del Lessico, quelli dell’Inghilterra e quelli del teatro. E via fino alla donna anziana che si candida in parlamento con il Pci, fedele al motto che le ha lasciato Leone “sii utile agli altri”.
Ho comprato La Corsara in fretta. Non proprio convinta per via delle oltre 400 pagine. Un treno da prendere, poco tempo per scegliere qualcosa da portarmi in viaggio, l’oscuro presentimento che, nonostante la mole, sarei stata alla fine contenta della mia scelta. Ripagata dal mio essere stata precipitosa: una volta iniziato a leggere La Corsara, non riuscivo a smettere. Con ingordigia la sera mi infilavo sotto le lenzuola. Leggevo fino a tarda notte, senza sentire la fatica o il sonno.
Mi chiedevo da dove venisse tanto interesse. Se per caso il mio non fosse accanimento dovuto a voyeurismo. La verità è che Sandra Petrignani è una grande scrittrice. Ha saputo intrecciare la vita di Natalia Ginzburg in modo talentuoso, lieve e profondo con il mondo di allora e ha compiuto il miracolo: un universo si ricompone sotto i nostri occhi con le sue sfumature, oscurità, inquietudini, paure, improvvise gioie, liberazioni. Ciò che lo differenzia da un grande romanzo è solo il fatto che tutto quello che leggiamo è vero, documentato, verificato.
Mi chiedo da dove venga il prezioso dono di sapere trattare la Storia (leggi razziali, fascismo, guerra, liberazione e tutti gli anni a seguire, fino al 1991) con tale sapienza, da renderla viva e maneggevole per tutti; lasciando che in primo piano si muovano le donne e gli uomini che in quella storia erano immersi.
Storie di coraggio e di coerenza, di amori appassionati e amicizie come oggi ne conosco poche. Tra gli scrittori (scrutatori, indagatori) di allora vigeva un legame autentico, scevro da furbizia e da calcolo. Per questo anche litigare era così fruttuoso, ne nascevano idee nuove; le parole frantumate, una volta ricomposte, disegnavano scenari e scelte innovative. Discutevano, eccome se discutevano. Sandra Petrignani riporta con fedeltà, frutto di un’encomiabile ricerca, le diatribe, gli appunti, le lettere, i passi di romanzi e di racconti che servono a rimettere insieme quel mondo letterario.
Lavoro di fino e nello stesso tempo di bassa manovalanza, visite nelle case abitate dai protagonisti, incontri con le persone che in qualche modo ne sono venute in contatto. Forse ha preso qualche porta in faccia, qualcuno sarà stato generoso, altri meno. Ma Petrignani non si arrende e svolge fino in fondo il suo lavoro al servizio della letteratura e di noi, assetati di narrativa.
Il suo La corsara non è dunque un tributo a Natalia Ginzburg. E’ un grande, preciso affresco, con figure michelangiolesche, immense, che spiccano tra luoghi diventati paesaggi; e quando alla fine il lettore chiude il libro e si allontana, rimangono negli occhi anche i dettagli: un lungomare viareggino, una spiaggia sperlongana, fumo di sigarette, sedie intorno a un tavolo, una mano che batte per farsi ascoltare, in attesa che quegli esseri (ora, grazie alla Petrignani, non più fantasmi) decidano delle sorti di un libro, scelgano la strada giusta per dare al mondo le pagine necessarie.
Certo, nella memoria rimangono indelebili anche i giganti di cui racconta, le ombre oscure che affliggono Cesare Pavese, le impennate e i capricci di Elsa Morante, la delicata incertezza con cui Goliarda Sapienza sale l’ampia scala di via Campo Marzio, per incontrare Ginzburg nella sua casa in cima ai tetti della Roma più bella. I bruschi cambiamenti di umore di Giulio Einaudi.
Ah no, non farò l’errore di scrivere “i bei tempi andati, quando gli scrittori..”, perché sono convinta che qualcosa di forte e importante serpeggi anche oggi nella nostra letteratura e le amicizie siano altrettanto fruttuose e creatrici di nuovi pensieri e percorsi. Solo che io queste cose non le so. Dunque spero che un giorno, nel futuro, una nuova Sandra Petrignani (forse è già in giro, come lei allora, a cercare interviste, a portare i suoi scritti) restituisca l’affresco di questi nostri anni, apparentemente così confusi. Come erano confusi quelli di allora per coloro che vi erano immersi.
Un solo rammarico: si cita la data di morte di mio padre, Giuseppe Loy. Non morì nel 1985 ma nel 1981. Un dettaglio che unicamente per me (ne coltivo ostinatamente la memoria) diventa importante.
Anzi, un altro: non aver (finora) trovato un libro capace di regalarmi la stessa sete voluttuosa di sapere, lo stesso piacere, il medesimo appagamento in una lettura che scorre fluida e precisa. Senza ombra di protagonismo. Di autocelebrazione. Ma forse non si tratta che di aspettare il prossimo libro di questa grande scrittrice italiana.