Chiedo scusa a tutti se, in questa particolare occasione, mi permetto di “scimmiottare” nientemeno che Galileo Galilei quando scrisse in sintesi in un libro i suoi studi cosmologici per aprire una approfondita discussione su quale delle due teorie, la tolemaica o la copernicana, dovesse avere prevalenza sul piano scientifico. Qui, invece che di astronomia ci occuperemo di “macroeconomia” e dei dialoghi che in questi giorni si sono accesi a disputare la correttezza, o meno, della teoria (non nuova per la verità) della Secular stagnation ovvero di una stagnazione economica di lunghissima durata (secolare appunto) che potrebbe insorgere se dopo una recessione non venissero presi subito adeguati interventi capaci di rimettere in moto rapidamente il motore della ripresa e dello sviluppo economico.
Ad avviare questa disputa è stato Joseph E. Stiglitz, Premio Nobel per l’Economia 2001, che, nel criticare (giustamente) il poco fatto in questo decennio dalla crisi del 2008, non risparmia nemmeno Lawrence H. Summers, capo economista prima con il presidente Clinton e poi con Obama.
Stiglitz – che ha un curriculum di incarichi, premi (oltre al Nobel) e pubblicazioni che potrebbero riempire diverse pagine – rimprovera a Summers di dare troppa importanza alla teoria della stagnazione cosiddetta “secolare” che, pur essendo teoricamente possibile, in realtà potrebbe agevolmente essere evitata facendo subito le cose giuste al momento giusto. Egli infatti accusa direttamente Summers e persino Obama dicendo “The same individuals bearing culpability for the under-regulation of the economy in its pre-crisis days, to whom President Barack Obama inexplicably turned to fix what they had helped break (gli stessi individui colpevoli della deregolazione dell’economia nel periodo pre-crisi, ai quali il presidente Obama ha dato incarico di aggiustare cio’ che essi hanno contribuito a rompere)”.
Anche se l’accusa cade su Obama, la responsabilità indiretta colpisce invece Summers, suo primo consigliere economico nel 2009, che tra l’altro è anche il principale responsabile (al tempo di Clinton presidente) della fortissima spinta verso la “deregulation” iniziata dal presidente Reagan negli anni 80. Quella “deregulation” – sfociata nella cancellazione della legge Glass-Steagall, che separava l’attività delle banche ordinarie da quella delle banche per investimenti – ha spalancato la porta a infinite operazioni sui cosiddetti “derivati finanziari” che, privi di adeguato controllo, hanno causato nel mercato dei titoli tutti gli eccessi sfociati nella “bolla” scoppiata nel settembre 2008.
In particolare però Stiglitz rimprovera anche il Congresso americano (a maggioranza repubblicana dal 2010 a oggi) perché non ha fatto già dal 2009 quello che ha fatto invece Trump nel 2017 che (pure non essendocene ormai più bisogno) ha avviato tutta una serie di riforme che hanno spinto l’economia a “volare”. Ovvero quelle politiche (keynesiane) di detassazione e forti spese a sostegno degli investimenti, ma anche di una migliore redistribuzione dei redditi prodotti (questo Trump non lo sta facendo) che avrebbero consentito a Obama e ai democratici di far ripartire l’economia già nel 2010 invece che nel 2016.
Summers ha buone ragioni per scaricarsi da quelle colpe, facendo notare qualche contraddizione nelle previsioni di Stiglitz negli anni pre-crisi, e poi dicendo che Stiglitz, insieme a Galbraith, Baker e Mishel avevano suggerito nel 2009 a Obama una manovra da 400 miliardi, mentre il team economico di Obama ne ha subito varata una da 800 miliardi, quindi il doppio. Maggiori misure, dice Summers, non sono state possibili a causa delle forti divisioni nel Congresso (che non alzava il tetto fisso di indebitamento stabilito per legge, vera spina nel fianco di Obama). Trump, che invece gode oltre che del suo potere anche di una solida maggioranza nel Congresso, ha già ottenuto due volte il rialzo di quel tetto ed è già sul punto di chiedere un terzo rialzo entro la fine di questo mese (altrimenti ci sarà un nuovo shut-down una chiusura di Cassa per mancanza di liquidità).
La replica di Stiglitz ha messo in evidenza che l’uscita dalla “Grande Depressione”, iniziata con la crisi del 1929 e terminata con la fine della seconda guerra mondiale, è stata risolta in realtà più dalla migliore distribuzione dei redditi, avvenuta nel dopoguerra, che semplicemente dal ritorno degli investimenti, che anche adesso abbiamo, ma non producono alcun beneficio generale andando a finire quasi tutto nelle tasche dei ricchi “paperoni” d’America.
A cercare di metter d’accordo i due interviene un terzo economista: Roger E.A. Farmer che illustra un suo studio nel quale trova che una “Stagnazione secolare” (tuttora in atto parzialmente nel Giappone) può effettivamente avvenire come conseguenza della mancanza di aspettative positive che le famiglie e le piccole imprese hanno circa il valore futuro del proprio patrimonio investito. Quindi è la mancanza di fiducia nel sistema a bloccare la propensione dei privati a investire. Se contemporaneamente lo Stato è impossibilitato da qualche regola o contingenza a rilanciare l’economia intervenendo con un rilancio degli investimenti pubblici, la “stagnazione secolare” è garantita.
Per ora la diatriba si ferma qui, ma è interessante notare cosa farebbero i tre “keynesiani” sopra citati per uscire più o meno in fretta da una pesante recessione economica. Tre eminenti non keynesiani (Henry Paulson, Ben Bernanke e Timothy Geithner) scrivono uniti cosa fare per combattere la prossima crisi, ma loro erano al governo dell’economia proprio quando la Grande recessione è partita e quando si è cercata la via della ripresa.
I primi due (repubblicani) hanno fatto finta di non vedere “la bolla” che si gonfiava a dismisura finché è scoppiata, poi – mentre Bernanke restava alla Fed e avviava i QE a sostegno delle grandi Banche e del Tesoro – Geithner (democratico, liberista, nominato all’economia dal neo presidente Obama) si è preoccupato più di non dar fastidio ai “mercati” che di risolvere il problema vero dell’economia di massa (la redistribuzione del reddito prodotto). Infatti Obama lo ha cambiato all’inizio del secondo mandato, ma ormai i repubblicani avevano già conquistato la maggioranza in entrambe le Camere del Congresso ed erano assolutamente indisponibili ad aumentare il debito (mentre adesso, con Trump alla Casa Bianca, gli hanno già concesso aumenti “galattici” per tutte le spese meno quelle per sostenere i consumi della gente comune).
Anche noi Europei sappiamo (sulla nostra pelle) cosa fanno i non keynesiani quando sono al governo dell’economia: attuano una rigidissima “austerity” che permette a molti capitalisti di azzerare i debiti grazie agli aiuti di Stato e di distribuire meglio (tra di loro, senza eccezioni) la poca ricchezza prodotta (mentre “tirano il collo” alla gente per pagare i loro debiti girati a carico dello Stato). Siccome sembra proprio che la prossima recessione sia vicina, facciamo almeno in modo che a guidarla siano dei “keynesiani”. Fa niente se discutono tra loro cosa sia meglio fare. Qualunque cosa dei keynesiani è meglio delle schifezze orchestrate dai liberisti globalisti.