I momenti importanti della nostra vita rimangono impressi nella memoria come foto incollate su un album. E il 15 settembre del 2008, giorno della dichiarazione del fallimento di Lehman Brothers, lo ricordo perfettamente. Non solo perché all’epoca lavoravo in una grande banca italiana e quindi il vissuto era più coinvolgente. Ma soprattutto perché tutto ciò che è accaduto dopo si è manifestato “grazie” al crac Lehman. Inganni, truffe, raggiri, reati, irregolarità, dissesti, suicidi, collusioni, connivenze, arresti, condanne, tutto il marcio emerso nel sistema bancario italiano (e non solo) in questi 10 anni non sarebbe mai affiorato se non ci fosse stato il 15 settembre 2008.
Per la verità dopo quella data un po’ (ma giusto un po’) di moralizzazione all’interno del mondo della finanza c’è stata ma il risultato più evidente, lo switching epocale, è stata la derattizzazione del sistema. Era polvere buttata sotto al tappeto per non farla vedere alla suocera. Perché, in quel sistema, quasi tutti eravamo consapevoli che il fallimento della Lehman Brothers avrebbe danneggiato migliaia di correntisti, sebbene, già dal giorno successivo al crac della banca d’affari americana, le direzioni generali degli istituti di credito italiani sostenessero il contrario.
Il fine settimana lo avevamo trascorso attaccati al nostro Blackberry facendo scommesse via sms e email. La domanda era sempre la stessa: “Fallisce?”. La maggior parte di noi rispondeva ostinatamente di “No”. Tutti pensavamo – forse anche per scongiurare l’ipotesi che un giorno potesse capitare anche a noi – che la Federal Reserve sarebbe intervenuta. Invece, quando alle 8 di lunedì 15 settembre 2008, appena arrivati in ufficio, accendemmo i nostri computer le agenzie di stampa battevano la notizia: Lehman Brothers, la terza banca per dimensioni negli Stati Uniti, aveva portato i libri in tribunale ed entrava ufficialmente sotto tutela fallimentare (il Chapter 11 della legislazione statunitense). La scommessa era stata persa. In tutti sensi.
Gli indici di Borsa iniziarono a collassare. Il Dow Jones quella giornata perse 504 punti, il crollo più significativo dopo quello del 17 settembre 2001: il primo giorno di apertura dei mercati dopo l’attentato alle Torri gemelle. Nei nostri uffici i telefoni squillavano all’impazzata, i clienti, già scottati da ciò che era avvenuto proprio all’indomani dell’inferno di Ground zero, volevano spiegazioni, erano preoccupati, ansiosi, impauriti di perdere i propri risparmi. In quello stato di agitazione generale, chiedemmo subito aiuto al top management per avere delle direttive da seguire con i risparmiatori. Il tenore delle prime mail che ci arrivarono dall’alto suonava più o meno così: “Tranquilli, state sereni. La vicenda Lehman Brothers è un fatto esclusivamente americano”.
Secondo i “capi supremi”, quello dei mutui subprime – concessi a chi non aveva neppure un dollaro ma aveva il diritto di comprare una casa – era un fenomeno che riguardava solo gli americani, che si erano lanciati nel business della “finanza creativa” costruendo migliaia di contratti derivati sul pacchetto, appunto, dei mutui subprime. In sostanza, dovevamo rassicurare i clienti come se il fatto non ci riguardasse. Ma non era così.
Lo sapevamo tutti che le banche nostrane, esattamente tra il 2003 e il 2004, avevano acquistato contratti derivati e obbligazioni della Lehman Brothers (oggi privi di valore) e, soprattutto, si erano buttate a capofitto nell’affare (assai remunerativo) delle “polizze assicurative a capitale garantito“. Una bufala, naturalmente. Perché la “garanzia” era costituita da obbligazioni bancarie e non dalla compagnia assicurativa. Cioè, il “sottostante”, come viene definito nel gergo bancario, era rappresentato dalle obbligazioni Lehman; pertanto una volta saltata la stessa, il cliente rimaneva con il cerino in mano.
Le rassicurazioni che piovevano dall’alto poggiavano anche sulla teoria del “fallimento inatteso”, classico atteggiamento del management bancario che di fronte alle proprie responsabilità sa rispondere solo in un modo: la colpa va sempre ricercata altrove. E in questo caso doveva ricadere tutta sulle agenzie di rating. Ai clienti dovevamo far passare questo concetto. Altra bufala, altra menzogna. Perché se è vero che Lehman Brothers aveva un rating elevato fino al giorno prima del crac, è altrettanto vero che da mesi era nell’occhio del ciclone.
E se è vero che le sue obbligazioni erano presenti nella sezione delle “obbligazioni a basso rischio e rendimento” dell’accordo interbancario PattiChiari, è altrettanto vero che, ai sensi del regolamento, quelle stesse obbligazioni non dovevano più essere collocate in quella sezione mentre lo sono state fino al giorno del fallimento. Assurdo ma è così. Con il 15 settembre 2008 è iniziato però il processo di ridimensionamento dei “deliri di onnipotenza” dei manager bancari. Ma la maggior parte dei raccomandati e degli inefficienti sta ancora là.
Con il 15 settembre 2008 siamo entrati nell’era della consapevolezza della inefficienza di una classe dirigente che ha distrutto i risparmi di milioni di cittadini. Ma altre migliaia potrebbero ritrovarsi senza un quattrino a breve (Carige) Con il 15 settembre 2008 è stato sdoganato un silenzio fin troppo connivente della maggior parte della nostra editoria. Ma ancora, tranne casi eccezionali, se ne parla solo quando scorre il sangue, quando è tardi. Con il 15 settembre 2008 abbiamo assunto consapevolezza che contro le banche non basta indignarsi: serve il coraggio della denuncia. Ma la tutela dei whistleblower è ancora di fatto inesistente. Festeggiamo ogni anno il 15 settembre. Solo così possiamo scongiurare un Lehman Brothers bis nel nostro Paese.
Vincenzo Imperatore
Consulente di direzione, giornalista e saggista
Economia & Lobby - 15 Settembre 2018
Lehman Brothers, 10 anni fa il fallimento. Tutte le menzogne che i nostri manager ci costrinsero a dire
I momenti importanti della nostra vita rimangono impressi nella memoria come foto incollate su un album. E il 15 settembre del 2008, giorno della dichiarazione del fallimento di Lehman Brothers, lo ricordo perfettamente. Non solo perché all’epoca lavoravo in una grande banca italiana e quindi il vissuto era più coinvolgente. Ma soprattutto perché tutto ciò che è accaduto dopo si è manifestato “grazie” al crac Lehman. Inganni, truffe, raggiri, reati, irregolarità, dissesti, suicidi, collusioni, connivenze, arresti, condanne, tutto il marcio emerso nel sistema bancario italiano (e non solo) in questi 10 anni non sarebbe mai affiorato se non ci fosse stato il 15 settembre 2008.
Per la verità dopo quella data un po’ (ma giusto un po’) di moralizzazione all’interno del mondo della finanza c’è stata ma il risultato più evidente, lo switching epocale, è stata la derattizzazione del sistema. Era polvere buttata sotto al tappeto per non farla vedere alla suocera. Perché, in quel sistema, quasi tutti eravamo consapevoli che il fallimento della Lehman Brothers avrebbe danneggiato migliaia di correntisti, sebbene, già dal giorno successivo al crac della banca d’affari americana, le direzioni generali degli istituti di credito italiani sostenessero il contrario.
Il fine settimana lo avevamo trascorso attaccati al nostro Blackberry facendo scommesse via sms e email. La domanda era sempre la stessa: “Fallisce?”. La maggior parte di noi rispondeva ostinatamente di “No”. Tutti pensavamo – forse anche per scongiurare l’ipotesi che un giorno potesse capitare anche a noi – che la Federal Reserve sarebbe intervenuta. Invece, quando alle 8 di lunedì 15 settembre 2008, appena arrivati in ufficio, accendemmo i nostri computer le agenzie di stampa battevano la notizia: Lehman Brothers, la terza banca per dimensioni negli Stati Uniti, aveva portato i libri in tribunale ed entrava ufficialmente sotto tutela fallimentare (il Chapter 11 della legislazione statunitense). La scommessa era stata persa. In tutti sensi.
Gli indici di Borsa iniziarono a collassare. Il Dow Jones quella giornata perse 504 punti, il crollo più significativo dopo quello del 17 settembre 2001: il primo giorno di apertura dei mercati dopo l’attentato alle Torri gemelle. Nei nostri uffici i telefoni squillavano all’impazzata, i clienti, già scottati da ciò che era avvenuto proprio all’indomani dell’inferno di Ground zero, volevano spiegazioni, erano preoccupati, ansiosi, impauriti di perdere i propri risparmi. In quello stato di agitazione generale, chiedemmo subito aiuto al top management per avere delle direttive da seguire con i risparmiatori. Il tenore delle prime mail che ci arrivarono dall’alto suonava più o meno così: “Tranquilli, state sereni. La vicenda Lehman Brothers è un fatto esclusivamente americano”.
Secondo i “capi supremi”, quello dei mutui subprime – concessi a chi non aveva neppure un dollaro ma aveva il diritto di comprare una casa – era un fenomeno che riguardava solo gli americani, che si erano lanciati nel business della “finanza creativa” costruendo migliaia di contratti derivati sul pacchetto, appunto, dei mutui subprime. In sostanza, dovevamo rassicurare i clienti come se il fatto non ci riguardasse. Ma non era così.
Lo sapevamo tutti che le banche nostrane, esattamente tra il 2003 e il 2004, avevano acquistato contratti derivati e obbligazioni della Lehman Brothers (oggi privi di valore) e, soprattutto, si erano buttate a capofitto nell’affare (assai remunerativo) delle “polizze assicurative a capitale garantito“. Una bufala, naturalmente. Perché la “garanzia” era costituita da obbligazioni bancarie e non dalla compagnia assicurativa. Cioè, il “sottostante”, come viene definito nel gergo bancario, era rappresentato dalle obbligazioni Lehman; pertanto una volta saltata la stessa, il cliente rimaneva con il cerino in mano.
Le rassicurazioni che piovevano dall’alto poggiavano anche sulla teoria del “fallimento inatteso”, classico atteggiamento del management bancario che di fronte alle proprie responsabilità sa rispondere solo in un modo: la colpa va sempre ricercata altrove. E in questo caso doveva ricadere tutta sulle agenzie di rating. Ai clienti dovevamo far passare questo concetto. Altra bufala, altra menzogna. Perché se è vero che Lehman Brothers aveva un rating elevato fino al giorno prima del crac, è altrettanto vero che da mesi era nell’occhio del ciclone.
E se è vero che le sue obbligazioni erano presenti nella sezione delle “obbligazioni a basso rischio e rendimento” dell’accordo interbancario PattiChiari, è altrettanto vero che, ai sensi del regolamento, quelle stesse obbligazioni non dovevano più essere collocate in quella sezione mentre lo sono state fino al giorno del fallimento. Assurdo ma è così. Con il 15 settembre 2008 è iniziato però il processo di ridimensionamento dei “deliri di onnipotenza” dei manager bancari. Ma la maggior parte dei raccomandati e degli inefficienti sta ancora là.
Con il 15 settembre 2008 siamo entrati nell’era della consapevolezza della inefficienza di una classe dirigente che ha distrutto i risparmi di milioni di cittadini. Ma altre migliaia potrebbero ritrovarsi senza un quattrino a breve (Carige) Con il 15 settembre 2008 è stato sdoganato un silenzio fin troppo connivente della maggior parte della nostra editoria. Ma ancora, tranne casi eccezionali, se ne parla solo quando scorre il sangue, quando è tardi. Con il 15 settembre 2008 abbiamo assunto consapevolezza che contro le banche non basta indignarsi: serve il coraggio della denuncia. Ma la tutela dei whistleblower è ancora di fatto inesistente. Festeggiamo ogni anno il 15 settembre. Solo così possiamo scongiurare un Lehman Brothers bis nel nostro Paese.
MORTE DEI PASCHI
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Roma, 15 feb (Adnkronos) - "I vigliacchi di Hamas ancora una volta esibiscono ostaggi, ma si mostrano a volto coperto. Perché sono dei codardi. Sono protagonisti di un’azione terroristica che dimostra la loro impossibilità di proporsi come uno Stato". Lo dice Maurizio Gasparri.
"O i palestinesi si liberano di questa setta di terroristi vigliacchi o non potranno essere interlocutori della comunità internazionale. Non si può parlare di due popoli e di due Stati quando c'è uno stato democratico, un popolo perseguitato, Israele e gli israeliani, e c'è un popolo palestinese che si fa comandare da questi vili criminali, che si nascondono perché non hanno il coraggio di mostrare il loro volto da assassini al mondo intero", aggiunge il presidente dei senatori di FI.
Roma, 15 feb. (Adnkronos) - Non saranno sempre "una cosa bellissima", come diceva l'allora ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa, ma le tasse restano stabilmente nella top ten dei temi 'divisivi' del centrosinistra. L'ultima accesa discussione, e non è certo la prima volta, è scoppiata sulla patrimoniale. Un 'evergreen', dall'Ulivo al campo largo. Che adesso vede, appunto, coinvolti Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e tutto il fronte alternativo al centrodestra.
A far (ri) scoppiare la polemica è stato lo stesso Fratoianni che, ad un convegno sui sistemi fiscali si è rivolto ai compagni di viaggio, seduti al suo fianco per ascoltare le relazioni del premio nobel Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz e dell'economista Hayati Ghosh. "Mi rivolgo a voi: verrà presto il momento di formulare una proposta per l’alternativa e bisogna dire che per una patrimoniale sulle grandi ricchezze è arrivato il momento, non si può rinviare", ha detto il leader di SI a Schlein e Conte.
Da lì, il dibattito è partito incontenibile. Ai leader di sinistra, c'è da dire, è arrivato l'abbrivio di Stiglitz che, citando il Papa, ha sottolineato: "Le tasse sono uno strumento importante per proteggere i poveri". Ma a sinistra non c'era certo bisogno dell'endorsement di un premio Nobel per accendere la miccia sul fisco. I più 'nostalgici' ricordano la mossa elettorale di Rifondazione comunista. Correva l'anno 2006, il partito di Nichi Vendola era al governo (quello con Padoa Schioppa ministro) e per le elezioni pensò di riempire le città con i manifesti con la foto di un panfilo e lo slogan preso da una telenovela degli anni '70: 'Anche i ricchi piangano'. Da lì a poco la stagione dell'Ulivo arrivò al capolinea.
(Adnkronos) - Eppure l'idea del 'prelievo forzoso' sulla quale i progressisti sono messi da sempre all'indice dagli avversari politici non è una idea di sinistra. A inventarlo, in Italia, è il governo Nitti nel 1919 per far quadrare i conti traballanti. Ma lo fa anche Mussolini, dopo la guerra in Etiopia, nel '36. Per gli stessi motivi. Eppure è sempre a sinistra che si guarda (e si polemizza) quando si parla di tasse. Silvio Berlusconi ha costruito una campagna anti sinistra, una costante della sua carriera politica, sin quando parlava del prelievo "con il favore delle tenebre" a proposito del 6xmille retroattivo sui conti correnti imposto dal governo Amato nel '92 per arginare le falle dei conti pubblici.
E le polemiche su Matteo Renzi e l'Imu? "Elimineremo noi, perché gli altri hanno fatto la finta, la tassa sulla prima casa, l'Imu agricola e sugli imbullonati", annunciò l'allora premier all'assemblea del Pd, finendo nel mirino con l'accusa di 'berlusconismo'. Ma gli esempi sono tanti, anche più recenti. Alle elezioni del 2022 Enrico Letta lanciò la proposta della dote ai 18enni, un capitale di circa 10mila euro da spendere in formazione, casa o per avviare una attività. "Sarà finanziata con la tassa di successione per i patrimoni plurimilionari", spiegò il segretario del Pd, subito accusato di voler introdurre la patrimoniale in maniera surrettizia.
A distanza di anni i progressisti si trovano ancora, sempre, alle prese con la discussione sul fisco e sulle varie ricette per le tasse. Con Schlein che oggi dice: "Non è un tabù un intervento sui grandi patrimoni", indicando però una soluzione "almeno a livello europeo" sulle orme di quella suggerita dal presidente brasiliano Lula al G20. E Conte che invita a parlare di tasse ma "in modo intelligente", per "contrastare il capitalismo parassitario".
Roma, 15 feb (Adnkronos) - "Nella giornata di oggi, 15 febbraio, presso i locali della federazione provinciale del Pd in corso Mazzini, si è svolto l’incontro fra la delegazione del Partito democratico, composta da Vittorio Pecoraro, segretario provinciale, Rosi Caligiuri, segretaria cittadina, e Francesco Alimena, capogruppo Pd in Consiglio comunale, con il sindaco di Cosenza, Franz Caruso". Lo spiegano in una nota congiunta gli stessi Pecoraro, Caligiuri e Alimena.
"Nell’esprimere il proprio sostegno all’esperienza amministrativa, il Partito democratico, ribadendo la propria unità, ha rappresentato al sindaco la sua proposta per il completamento della giunta con l’indicazione dell’avvocata Maria Locanto quale vicesindaca", proseguono i dem.
"Il sindaco ha ascoltato la valutazione del Pd e, nel rispetto delle proprie prerogative, si è riservato di esaminare con attenzione tale richiesta. L’indicazione di Maria Locanto è l’espressione del territorio ed è stata formulata a livello cittadino, provinciale e regionale del Partito, nonché dalle rispettive rappresentanze istituzionali. La scelta di Maria Locanto testimonia in modo chiaro l’unità del Pd, essendo presidente provinciale del Partito e avendo sempre lavorato con equilibrio e senso di responsabilità per la crescita della nostra comunità", sottolineano ancora gli esponenti Pd.
(Adnkronos) - "La delegazione del Pd ha, nel contempo, espresso al Sindaco la volontà di un impegno unitario perché la riorganizzazione della giunta non si espliciti soltanto attraverso una mera sostituzione assessorile ma sia opportunità per un rilancio strategico dell'azione amministrativa, affinché la seconda metà della consiliatura possa essere la fase di pieno compimento della attuazione del programma di governo su cui la maggioranza degli elettori cosentini ha espresso fiducia nella proiezione del progetto "Cosenza 2050'", concludono i dirigenti dem.
Roma, 15 feb (Adnkronos) - "Oggi si vota in 101 province per il congresso di Azione, un esercizio organizzativo molto complesso, ma necessario per riportare i partiti a essere quello che erano: luoghi di confronto democratico sulle idee e sulla linea politica. Siamo molto felici di come è andato". Lo dice Carlo Calenda.
"Ringrazio tutti i militanti, gli iscritti, i garanti congressuali e le persone che in questi mesi si sono attivati per tenere viva e rendere più forte la nostra comunità", aggiunge il leader di Azione.
Sanremo, 15 feb. - (Adnkronos) - “Tradizione, italianità e vicinanza sono valori del Festival di Sanremo e anche di Generali che li applica nel quotidiano per essere partner dei nostri clienti e costruire insieme il loro futuro”. Lo ha detto Massimo Monacelli, General Manager di Generali Italia, dal famoso e ormai iconico ‘Balconcino’ dell’Agenzia di Sanremo “che idealmente rappresenta tutte le piazze, tutti i balconcini, tutti i luoghi dove tutta la nostra eccezionale rete di agenti opera tutti i giorni per progettare il futuro” con gli italiani". "Proprio “la rete di 2mila agenzie e 20mila colleghe e colleghi presenti sul territorio, è il cuore del nostro business - sottolinea Monacelli - È grazie a loro se riusciamo a tenere fede alla nostra ambizione, che è quella di essere ‘Partner di Vita’ delle persone, in ogni momento rilevante, accompagnandole, con la consulenza di valore, a fare scelte consapevoli e responsabili con l’obiettivo di proteggere il loro futuro e il futuro delle persone che stanno loro a cuore”.
Per il terzo anno consecutivo “siamo felicemente presenti a Sanremo” con vista sull’Ariston “perché vogliamo essere dove succedono le cose che contano - aggiunge Marco Oddone, Chief Marketing & Distribution Officer di Generali Italia - Milioni di persone seguono Sanremo ogni sera e noi vogliamo essere vicini agli Italiani, nei vari momenti di vita, anche in un momento leggero, come si vede nello spot che abbiamo lanciato in questa occasione: mentre ‘tutti cantano Sanremo’, ci sono persone che prendono decisioni importanti della loro vita e noi, con i nostri agenti siamo loro vicini”. Con Sanremo “è scoccata una vera e propria scintilla - racconta Oddone - C’è una condivisione di valori: tradizione, passione, ma anche innovazione, con nuovi linguaggi dedicati a tutte le generazioni. Abbiamo raccontato il Festival con la voce di Caterina Ferioli, protagonista della nuova serie TV Belcanto, che è diventata portavoce di una prospettiva privilegiata sul Teatro Ariston attraverso i social, per coinvolgere ed entusiasmare persone di tutte le età. Un racconto a 360 gradi - conclude - da una prospettiva unica sull’Ariston al quale siamo molto felici di dare il nostro contributo”.
Generali ha partecipato anche al FantaSanremo con la lega #BalconcinoGenerali per accogliere tutte le persone che sceglieranno di giocare durante i giorni della kermesse all’iniziativa social più popolare, coinvolgente e divertente.
Torino, 15 feb. - (Adnkronos) - “Sui dazi la storia dimostra che fanno male a tutti, anche a chi li impone. Poi naturalmente colpiscono di più i paesi che hanno una forte capacità di esportazione, quindi può essere che l’Italia sia un pochino più colpita di altri Paesi come primo impatto. Ma non dimentichiamo che l’Italia ha sempre dimostrato una capacità molto elevata di riorientare le proprie esportazioni in funzione dell’andamento dai mercati e dei prezzi. Quindi io sono abbastanza ottimista sulla capacità dell’Italia di minimizzare o comunque contenere i danni che possano derivare da questa guerra delle tariffe che si preannuncia". Lo ha affermato il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, a margine del congresso Assiom Forex in corso a Torino." Naturalmente - osserva - nessun paese riuscirà a sfuggire al fatto che una guerra delle tariffe fa sempre male a tutti".
Palermo, 15 feb. (Adnkronos) - Sono in corso verifiche dell'Ambasciata italiana a Bogotà sulla presunta morte del boss Giovanni Motisi, inserito nella lista dei latitanti mafiosi più pericolosi. La Procura di Palermo ha allertato i poliziotti del Servizio centrale operativo. A lanciare la notizia è il sito del giornale 'Gente'. Secondo il settimanale sarebbe morto di tumore in una clinica di Cali. Motisi aveva fatto perdere le sue tracce dal 1998.